Gazzetta di Modena

L’intervista

Romanelli con Soldini alla sala Truffaut: «La tempesta e il viaggio per scoprire mio padre»

di Alberto Morsiani

	Giovanni Soldini e Andrea Romanelli
Giovanni Soldini e Andrea Romanelli

A Modena la presentazione del film “No More Trouble”, nome della barca a vela con cui Soldini tentò il record del mondo lungo l’Atlantico nel 1998 e in cui morì Andrea, padre del regista, quando la barca si rovesciò durante una tempesta

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MODENA. “No More Trouble” (il verso di una canzone di Bob Marley) è il nome della barca a vela con cui Giovanni Soldini tentò il record del mondo lungo l’Atlantico nel 1998, una traversata che costò la vita ad Andrea Romanelli, disperso in mare quando la barca si rovesciò durante una tempesta a causa di un’onda anomala.

Il doc che ne riprende il nome, girato da Tommaso Romanelli, figlio di Andrea, all’epoca bambino, è l’intento di un figlio di indagare la mancanza di un padre (ingegnere, sognatore, navigatore indefesso) , cucendo le interviste a membri dell’equipaggio e parenti del regista con il materiale video prodotto da Andrea stesso e da altri. Un esercizio insieme di passione e di memoria.

Tommaso Romanelli, assieme a Giovanni Soldini, lo presenta alle 21 di lunedì 2 dicembre alla sala Truffaut in una serata organizzata con la Fice Emilia-Romagna.

Romanelli, come e perché è nato questo progetto così personale?

«È nato in un mio momento di difficoltà. Avevo appena finito l’Università e non sapevo bene cosa fare. Ho sempre avuto la passione per il cinema, volevo fare un film come regista, ma non avevo una storia da raccontare, non avevo interesse per l’aspetto tecnico. Quando ho trovato in casa mia delle cassette di cui non mi ricordavo molto con le immagini di mio padre durante la traversata fatale, anche appena prima della tragedia, me le sono viste su un lettore e mi sono sconvolto. Ho sentito la sua voce per la prima volta. Erano state girate da vari membri dell’equipaggio che si passavano di mano in mano una telecamerina. Erano state consegnate a mia madre e poi erano finite in un cassetto, dimenticate forse volutamente. Ho pensato di avere la mia storia, e mi sono messo a scavare in modo serio sul materiale d’archivio, trovando audiocassette, foto. Mi si è aperto un mondo. Ho quindi contattato Giovanni Soldini che mi ha raccontato questa magnifica storia di giovani appassionati e sognatori. Lui mi ha messo in contatto con gli altri membri dell’equipaggio. Ho fatto una scuola di cinema sul campo».

Non ha avuto imbarazzi a resuscitare una storia così coinvolgente, anche dolorosa?

«No, anzi, ho pensato che fosse una cosa necessaria da fare, coinvolgendo mia madre, che nonostante il dolore e la fatica mi ha aiutato moltissimo. È una donna molto forte. Era necessario non solo per me ma un po’per tutte le persone coinvolte nei fatti, è stata una liberazione nonostante i meccanismi di difesa, una sorta di terapia collettiva».

Sotto traccia, nel film, si avverte una polemica su come è accaduta la tragedia di suo padre.

«Il fatto è che non è stato possibile sapere esattamente come sia morto. In quel momento mio padre era nel pozzetto, al timone. Quando un uomo scompare in mare è chiaro che ci sono delle responsabilità. Mia madre è ancora molto arrabbiata, soprattutto con Soldini che era il responsabile della barca. Per tutta la vita è rimasta fissa nelle sue convinzioni che secondo me era giusto mettere nel documentario. La mia posizione invece è diversa. Penso che queste persone sapessero benissimo a cosa andavano incontro e si assumessero tutti i rischi in piena libertà. Erano esseri adulti e consapevoli, avevano un senso di libertà molto profondo, seguivano il loro sogno. Quindi non è possibile da parte mia alcun rancore».

Il sottotitolo del film recita “cosa rimane di una tempesta”. Cosa rimane?

«Non solo detriti e voragini, ma tutto un altro mondo, fatto di passione, amore, amicizia. Scavando in questa storia ho trovato tanto altro».

Continuerà con il cinema?

«Sì, credo di aver trovato la mia strada, fare il regista e anche il produttore. È un mestiere faticoso, ma l’accoglienza molto buona per il film mi ha reso felice, le sale si sono riempite. Siamo coinvolti in un tour di presentazioni che ci sta portando dappertutto. Ora penso di scrivere una storia mia, girare un film di finzione, non un altro documentario».

Domanda d’obbligo, le piace la vela?

«Mi piace molto, anche se l’ho scoperta solo negli ultimi anni, navigando con Giovanni Soldini in vacanza. Sto imparando, ma mi hanno detto che ho un “buon piede marino”!».