Modena, Giacomo Matteotti scuote ancora le coscienze
Elena Cotugno sarà il politico socialista fatto uccidere da Mussolini: «Nello spettacolo non parliamo del personaggio, ma dei suoi discorsi»
Nonostante fosse nato in una famiglia benestante, Giacomo Matteotti bussava a ogni porta e diffondeva principi di civiltà nella classe operaia. La sua filosofia era non violenta: una rivoluzione costruita nel tempo, lentamente, senza spargimenti di sangue, perché lo strumento di emancipazione del proletariato non poteva essere una furia efficace sul breve periodo, ma crudele e poco duratura.
Elena Cotugno, della compagnia Teatro dei Borgia, due nomination agli UBU e premio Maschera del Teatro, sarà al teatro Storchi oggi e domani alle 20.30 con “Giacomo. Un intervento d’arte drammatica in ambito politico”.
IL PROGETTO
L’idea è nata nel 2019 e faceva parte del progetto più ampio “Studio teatrale sul fascismo”, in cui venivano messi a confronto i discorsi di Matteotti e di Mussolini. Ebbe vita breve a causa della pandemia, ma le parole di Matteotti rimasero: Elena Cotugno prese i libri in mano e studiò il periodo storico, le dinamiche politiche del tempo e la persona. Scoprì in Giacomo non solo un parlamentare, ma anche un giuslavorista e un difensore dei diritti dei lavoratori. Quando Giacomo si alzava parlava anche un’ora e senza epurare i tecnicismi: segno dei tempi, e di un livello politico più alto. Peccato che dopo, non a caso, furono le parole insulse ma violente di Mussolini ad avere la meglio.
Come avete portato il discorso politico nel teatro?
«Riportare il teatro nella polis è la linea della nostra compagnia. Il teatro per noi è il momento in cui ci si riunisce attorno a tematiche cogenti della contemporaneità e in questo caso specifico partiamo da un discorso politico fatto cento anni fa, ma ancora attuale. Certo, si nota la differenza tra un discorso dell’epoca e uno dell’ultimo ventennio, dal punto di vista grammaticale, retorico».
Quali sono i discorsi di Matteotti su cui vi concentrerete?
«I discorsi politici che porteremo in scena sono due: uno del 1921, che Matteotti fece alla Camera e che appartiene a un periodo precedente l’ascesa del fascismo. Il partito socialista era di maggioranza e nessuno si sarebbe aspettato che tre anni dopo i fascisti sarebbero saliti al potere, ma già Matteotti li contestava, denunciando la connivenza tra loro e il governo. Il secondo risale al 1924, quando il vento era cambiato e il presidente del consiglio era già Mussolini».
Qual è l’importanza delle parole di Matteotti oggi?
«Matteotti quando pronuncia il secondo discorso è uno contro tutti. Le sue parole sono profetiche. Lui era estremamente preciso, pignolo quasi, e la sua analisi è lucida e razionale. Ascoltandolo riusciamo a ricostruire i cambiamenti di quel periodo, cosa ha determinato l’ascesa del fascismo e il ventennio successivo».
Come si porta in scena un fantasma?
«Le parole sono il centro dello spettacolo, che è in sostanza un cimento tra me e il testo. La nostra scelta artistica non punta a portare in scena un personaggio Matteotti, ma il suo discorso. Non sarà uno spettacolo facile, richiede una riflessione attiva da parte del pubblico».
L’antifascismo è un tabù?
«Mi è sembrato che l’antifascismo sia un tabù per una certa generazione, ma non per le persone più giovani. Per loro è un argomento di attualità che suscita domande e questo mi ha colpita positivamente, ma manca ancora l’azione, che mi auguro arrivi col tempo. Oggi si può essere antifascisti, ma dobbiamo considerare che il fascismo è cambiato: è diventato un modo di pensare, di essere, che forse noi italiani abbiamo nel DNA».