Il “Diario di Gusen” realizzato da Aldo Carpi: l’arte nell’orrore dei campi di concentramento
L’artista affermato venne arrestato per aver cercato di aiutare una allieva ebrea: a Mauthausen realizzò di nascosto una preziosa testimonianza tramandata dal figlio
Le testimonianze della terribile esperienza della deportazione non arrivano soltanto da resoconti scritti dei sopravvissuti, o dalle ricerche storiche: anche l’arte ha avuto un ruolo importante nel raccontare ed elaborare l’orrore, come accade nell’opera di Aldo Carpi.
Aldo Carpi de’ Resmini (1886-1973) ha 57 anni ed è già un artista affermato quando, nel gennaio del 1944, viene arrestato in seguito alla delazione di un collega, forse mosso dall’invidia e dal risentimento. La colpa di Carpi, discendente di famiglia ebraica da tempo convertita al cattolicesimo, è quella di aver fornito assistenza a una sua allieva, perseguitata dalle leggi razziali.
TRASFERITO A MAUTHAUSEN
Dopo un periodo di carcere a San Vittore, Carpi viene trasferito a Mauthausen e nel temibile sottocampo di Gusen, nel quale si scontra con le indicibili condizioni di vita dei prigionieri. Se l’età avanzata condannerebbe normalmente un prigioniero come Carpi a morte certa, il pittore può contare sulla sua arte per rispondere alle richieste dei carcerieri, per i quali realizza ritratti dei familiari a partire da fotografie, oltre alla solidarietà dei compagni di prigionia, che non mancano di offrirgli assistenza e razioni supplementari: «Quella notte, dopo la campana, il piccolo Ivan – avrà avuto dodici anni, bel ragazzo – mi ha chiamato: “Professor!” e mi ha portato da mangiare una grossa patata lessa. Quella patata non l’ho più dimenticata».
IL LIBRO
La testimonianza di Aldo Carpi, raccolta dal figlio Pinin nel “Diario di Gusen”, presenta caratteristiche uniche: a differenza di molte altre esperienze di deportazione raccolte dopo la liberazione dal campo, questa è registrata, a rischio della vita, su supporti di fortuna, ricette mediche o cartacce, durante la permanenza del pittore nel campo. Ai resoconti scritti si alternano toccanti rappresentazioni dei muselmann, ovvero, nel gergo dei lager, quei compagni di prigionia prostrati dalla fame e dalla fatica già prossimi alla morte, che anche Primo Levi racconta nelle pagine de ‘I sommersi e i salvati’. Tra queste, spicca per forza espressiva e terribile eloquenza la rappresentazione dell’ultimo incontro con l’operaio dell’Alfa Romeo Alfredo Borghi: “Lui era aggrappato alla rete della finestra e urlava: "Carpi damm de bev!" Perché una delle cure che le SS praticavano ai dissenterici era di non dar loro da bere; né da mangiare. Li lasciavano morire”. Nella prigionia, il pittore è sostenuto da un’incrollabile fede religiosa e dalla dedizione all’arte. Provando nostalgia verso i paesaggi italiani, così diversi dalla natura di un Campo in Alta Austria a poche centinaia di metri dal Danubio, scrive: “Ho solo il desiderio di riprendere il pennello e i colori davanti alla natura soleggiata del mare e tentare di dipingere con la più spietata, pazza, divertente libertà.”
DIRETTORE A BRERA
Tornato in Italia dopo la liberazione del campo da parte dell’esercito statunitense, Carpi è acclamato direttore dell’Accademia di Brera.
La storia personale e le opere di Aldo Carpi sono strettamente intrecciate con il patrimonio del Museo Monumento al Deportato a Carpi, e in occasione del 50° anniversario dell’inaugurazione la sua produzione si può ammirare nelle due mostre dedicate al sito, allestite all’interno del Palazzo dei Pio: “La cura della memoria” in Sala dei Cervi, dove si analizza il contesto culturale nel quale prese vita l’idea di museo, e il percorso che portò alla sua genesi storica, e “Il rumore della memoria”, al primo piano dei Musei del Palazzo, incentrata sui disegni dell’artista, realizzati in lager e donati al Museo Monumento dal figlio Pinin.
*Fondazione Fossoli
Per segnalare storie legate al Campo di Fossoli: fondazione.fossoli@carpidiem.it.