Gazzetta di Modena

Musica ed editoria

I Modena City Ramblers diventano scrittori: «Il nostro libro a “dieci mani” per raccontare la libertà»

di Cristiana Minelli

	I Modena City Ramblers e la copertina del libro
I Modena City Ramblers e la copertina del libro

“Nati per la libertà” è come una ballata: «Racconti resistenti, storie vere e non di partigiani ispirate dalle nostre famiglie»

4 MINUTI DI LETTURA





MODENA. Sono i “combat folk” della scena musicale italiana. Hanno suonato a Plaza de la Revolución a Cuba e nel deserto del Sahara, tra i dimenticati del mondo e nelle piazze d’Italia, collaborando, tra gli altri, con Luis Sepúlveda, Bob Geldof, Francesco Guccini, Goran Bregoviç. Suonano, da sempre, pescando a piene mani dalla tradizione popolare, (irlandese, scozzese, celtica, ma anche klezmer, balcanica e nostrana) e di recente hanno lanciato una campagna di raccolta di zaini, scarponi, smartphone e donazioni in favore dei migranti che provano ad attraversare il confine alpino tra l’Italia e la Francia. Sono i Modena City Ramblers, più che un gruppo, un progetto musicale variamente partecipato, che nel corso del tempo ha miscelato, sempre sperimentando, il folk con la satira. A vent’anni dall’uscita dell’album cult «Appunti partigiani» – il loro ottavo, con tracce che vanno da «Bella ciao» (con Goran Bregoviç) ad «Auschwitz» (con Francesco Guccini) – mettono a scaffale un libro: «Nati per la libertà. Racconti resistenti» (Collana Oceani, pp. 304, € 20,00, La Nave di Teseo, postfazione di Carlo Greppi). Che uscirà a metà aprile mentre è appena stato pubblicato «Appunti resistenti», un nuovo lavoro in studio, prodotto e distribuito da Betty Wrong edizioni musicali, in forma fisica solo in vinile e in digitale su tutte le piattaforme di specie. Quattro i brani, di cui uno inedito, già in tour. Fra le tappe Genova (28) e Corneliano D’Alba (29 marzo) e poi Budrio (13 aprile), Cesana (20), Livorno 24 e Padova 26 aprile. Ma il calendario, si legge si Instagram, è in continuo aggiornamento. Nel libro molte storie: quella di Luisa, staffetta partigiana diciassettenne, coi dispacci sotto la sella della bici, di Matteo, che davanti al fascista che ha ucciso i suoi amici è costretto a scegliere tra giustizia e vendetta. O di Kurt, soldato “diversamente” tedesco e della famiglia che lo aiuterà a nascondersi, o di Scarpasoun, partigiano ‘non violento’ che non vorrebbe uccidere nessuno. Popolano lo script anche le note di un violino partigiano e quelle del pianoforte di casa Mussolini. La musica, certo, non poteva mancare.

Franco d’Aniello, flautista e cofondatore dei Modena City Ramblers, come è cominciata l’avventura di questo libro?

«Avevo già scritto per la Nave di Teseo qualche anno fa, raccontando i viaggi dei Modena City Ramblers nel mondo. La stessa casa editrice ci ha proposto ora di scrivere un libro di racconti sulla Resistenza».

Un libro a quante mani?

«Dieci, perché l’abbiamo scritto noi cinque, mettendo nero su bianco quattro o cinque racconti brevi a testa. L’abbiamo firmato Modena City Ramblers perché non ci interessa comparire individualmente. Siamo, da sempre, un progetto collettivo, il nostro è un lavoro di squadra».

Qual è il filo conduttore che lega insieme tutte queste storie?

«Sono vite – quasi tutte storie vere – di esseri umani “nati per la libertà”, partigiani o no, ugualmente protagonisti della Liberazione. Storie che vengono dal bagaglio personale o familiare di ciascuno di noi, frutto di un lavoro di ricerca molto impegnativa».

La scrittura è un’altra forma di Resistenza?

«Sì, certo. Un altro modo per esprimerci, per ribadire concetti che ci sono cari fin dalle nostre origini. Non è un libro solo di memorie. Dobbiamo ricordare, ma anche riaffermare il messaggio della Resistenza».

E la musica?

«É la forma espressiva artistica più immediata, quella che arriva dritta al cuore delle persone, quella più nostra. Ma anche il cinema, ad esempio, o la scrittura hanno la loro forza intrinseca».

Il vostro libro, in fondo, è una ballata?

«Sì. Avremmo probabilmente potuto cantare e suonare queste storie, che invece abbiamo scritto, come fossero una ballata in prosa. Il libro in fondo è solo un altro modo di essere portatori del nostro messaggio».

In questo momento storico, qual è il ruolo, il messaggio profondo, della musica verso il mondo?

«La musica può fare, anche adesso, quello che ha sempre fatto: far passare concetti e trasmettere emozioni. I musicisti raccontano, a modo loro, storie di ideali. Per colpire la sensibilità delle persone sperando di arrivare anche alla loro razionalità. Forse non cambieremo il mondo ma daremo senz’altro il nostro contributo. Cantare, suonare e, in questo caso scrivere, ci fa sentire più liberi. Ed è già un bel risultato».

Franco D’Aniello è flautista e cofondatore dei Modena City Ramblers. Di fede bianconera, uno dei pochi a cui piacesse suonare il flauto dolce alle scuole medie, ha interpretato un soldato nordista flautista nel film «Gangs of New York» di Martin Scorsese, per il quale ha eseguito due brani della colonna sonora. Nel 2019 ha suonato con i Jethro Tull, coronando il suo sogno di ragazzino alle prese con il flauto traverso. Una passione che l’ha portato con i Ramblers in giro per il mondo a suonare combat folk con un tin whistle.

© RIPRODUZIONE RISERVATA