Dieci anni dalla morte di Pino Daniele, il ricordo della compagna: «L’ultimo viaggio con lui che mi stringeva la mano»
Amanda, fidanzata del cantautore morto il 4 gennaio 2015 racconta il suo Daniele: «È stata una storia di grande intensità»
Oggi ha 51 anni e dopo aver lasciato il casale di Magliano (Grosseto), dove ha trascorso un pezzo di vita breve ma di grande intensità, è tornata a vivere e lavorare a Viterbo, continuando a fare l’insegnante di scuola dell'infanzia. Nell’anniversario dei 10 anni dalla scomparsa del compagno Pino Daniele, Amanda Bonini ha accettato di ripercorrere alcuni momenti della sua relazione con il bluesman napoletano. Complice il suo ritorno a Magliano in Toscana, sabato 11, per partecipare alla presentazione del libro dell’amico giornalista Pietro Perone: “Pino Daniele. Napoli e l’anima della musica, dal Mascalzone latino a Giogiò”. Al quale ha dato un contributo raccontando il suo rapporto con Daniele e le ultime fasi dell’artista.
Dieci anni fa accompagnò Pino Daniele in una corsa contro il tempo per portarlo all'ospedale Sant'Eugenio di Roma. Ha mai avuto il rimorso di non averlo portato all'ospedale di Grosseto o di Orbetello?
«No, mai. Se avessi provato a portarlo contro la sua volontà a Grosseto sarebbe morto lo stesso, questo il responso dell’autopsia, e allora sì che sarei vissuta nel rimorso. Ho solo fatto ciò che Pino desiderava facessi. Purtroppo era una cosa alla quale ero preparata, perché Pino era consapevole del livello di gravità dei suoi problemi cardiaci e non mi ha mai nascosto niente. Avevamo anche calcolato il tempo che sarebbe servito a raggiungere Roma in macchina. È stato sempre vigile durante il viaggio, mi ha stretto la mano fino all’ultimo».
I suoi problemi non hanno rischiato di mettere in discussione il vostro rapporto?
«Anche in questo caso no, mai. Lui è stato onesto con me, e io penso che non si possa rinunciare ad amare per la paura di soffrire».
Come vi siete conosciuti?
«Nel modo più semplice. A una cena organizzata a Roma da un'amica comune, Numa, in occasione del suo compleanno. La musica è una delle mie passioni e all'epoca collaboravo al progetto “Dire Straits Legacy”. Lei non mi aveva detto quali fossero gli altri invitati, mettendomi accanto a Pino, convinta fossimo molto compatibili. Ed è scattata la scintilla».
Si dice colpo di fulmine. Cos'è stato nel suo caso?
«Il fatto che Pino si sia posto in modo molto semplice e diretto, non atteggiandosi a divo e mostrando un interesse sincero per quello che facevo nella vita: l’insegnante. Avrebbe potuto essere un approccio diverso, avremmo potuto parlare di lui e di musica, e non sarebbe stato strano. Ma abbiamo parlato del mio lavoro, dell'educazione emotiva dei bambini, della disabilità. Era interessato al mio mondo e tutto è avvenuto con grande naturalezza».
Quando avete deciso di trasferirvi a Magliano?
«Dopo quella cena abbiamo iniziato a frequentarci. Estate 2013, eravamo due single che si erano incontrati e subito abbiamo capito che non c'era tempo da perdere, perché entrambi volevamo vivere intensamente il nostro nuovo rapporto. Mi sono trasferita a Roma, ma ci ho messo mesi ad abituarmi al rumore del traffico, e lui aveva un grande desiderio di trovare un posto più tranquillo dove vivere. Dove non essere “Pino Daniele”, per così dire. Aveva acquistato qualche anno prima una casa colonica a Magliano in Toscana, ne cercava una al mare».
Ma poi?
«Si è innamorato di Magliano, peraltro a pochi chilometri dal mare. Pino diceva di percepire l'energia delle cose e a Magliano ha colto quell'energia. Il Chakra del luogo. Mi chiese se volessi vivere là ed io accettai con grande gioia. Abbiamo ristrutturato e arredato il casale, condividendo ogni scelta. Io ho continuato a lavorare come insegnante, trasferendomi nella scuola di Pescia Romana, che ricade nel distretto scolastico di Viterbo e mantenendo le mie abitudini di vita. Abbiamo vissuto solo due anni insieme ma in modo molto intenso, come due persone normali. Una cosa che piaceva molto a Pino».
A Magliano avete stretto rapporti?
«Sì, certo. La casa è confinante con il vivaio Mates di Luca Agostini ed ero già amica del fratello Michele, conosciuto anni prima in un altro contesto. Sono diventati presto amici di Pino, insieme alle loro famiglie. In paese andavamo sempre a mangiare al Pizza Movie, dove anche la sera in cui Pino se n’è andato avevamo preso le pizze da asporto perché lui non si sentiva bene. Andavamo insieme a fare la spesa al supermercato. Facevamo la vita che Pino aveva tanto desiderato e che non poteva fare a Roma o a Napoli, dove doveva convivere col suo “personaggio” pubblico».
Negli ultimi anni Pino Daniele era deluso da Napoli. Ne avete parlato?
«Certo, parlavamo di tutto. Pino era deluso dalla deriva della politica, dalla sua città che non riusciva a rinascere. Ma era sempre impegnato a progettare soluzioni per cambiare le cose. Come il centro educativo che voleva realizzare nell'ambito del Museo del Mediterraneo, diretto da Michele Capasso. Un luogo di riscatto, dove ragazzi e ragazze avrebbero potuto scoprire e coltivare i propri talenti, riscattarsi dalla condizione di marginalità sociale, contrastando la dispersione scolastica e la violenza della vita di strada. Aveva progetti anche per Magliano. Pietro Perone, nel libro, tratteggia benissimo questo aspetto del carattere di Pino, contestualizzando nel periodo storico il significato dei testi delle sue canzoni».
Che donna pensa di essere 10 anni dopo?
«Mi reputo fortunata perché Pino era un uomo di grande spessore umano. Sono stati due anni vissuti con grande intensità. Sapendo di non poter perdere neanche un minuto: sono felice di averlo reso felice e del fatto che il nostro amore lo abbia riacceso anche dal punto vista creativo». l
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