Mauro Repetto a Modena: «Alla ricerca dell’Uomo Ragno con gli 883 nel cuore»
Domani sera al Teatro Michelangelo lo spettacolo che racconta e fa rivivere la storia di un gruppo che ha fatto epoca: da Max Pezzali a Claudio Cecchetto, Fiorello, Jovanotti e Gerry Scotti, sullo schermo tutti i personaggi che hanno dato vita un mito della musica italiana
MODENA. Alle 20.45 di domani, giovedì 21 novembre, al Teatro Michelangelo di Modena si terrà “Alla ricerca dell’uomo ragno”, lo spettacolo sulla storia dei mitici 883 interpretata dallo stesso Mauro Repetto, un one man show, a metà tra realtà e finzione, con una trama autobiografica e surreale al tempo stesso. È una favola ambientata nel Medioevo, in cui Repetto dal palco interagirà (con il supporto dell’intelligenza artificiale) con sè stesso e Max com’erano da ragazzi, prima dell’arrivo della grande ondata di successi, e con i personaggi che hanno partecipato alla nascita e alla carriera degli 883, tutti proiettati sugli schermi con straordinari effetti visivi. Tra questi ritroveremo, ad esempio, il Conte Claudio Cecchetto, il barone Fiorello, il principe Jovanotti, il marchese Jerry Scotti.
Nel 1988 Mauro Repetto fonda gli 883 insieme a Max Pezzali, scrive con lui pezzi che sono stati e sono pietre miliari della musica italiana. Mauro oggi racconta la sua fuga dall’Italia, il suo incontro con l’Uomo Ragno e il segreto nascosto nei sogni; lo spettacolo, musicale e a tratti comico, raccoglie molti dei brani e dei videoclip di grande successo degli 883 ideati e diretti dal regista Stefano Salvati. Tra momenti di comicità e di nostalgia, Repetto si racconta e ripercorre la storia della band, istantanee di momenti intramontabili, con aneddoti e curiosità sulla genesi dei loro maggiori successi, cantando le hit che hanno fatto da colonna sonora a intere generazioni, con qualche omaggio ad artisti che lo hanno ispirato, e presentando al pubblico anche un suo brano inedito.
Repetto, dopo il libro scritto a quattro mani con Massimo Cotto “Non ho ucciso l'uomo ragno. Gli 883 e la ricerca della felicità” (Mondadori 2023), ora uno spettacolo teatrale. Un grande ritorno…
«Con il pretesto di parlare della storia di questi due menestrelli di Pavia, Max e Mauro, che devono portare una cassetta, una canzone, al Conte Claudio, racconto una sorta di favola medievale che ci permette di fare una grande scorpacciata di 883. Nel ping pong tra la Pavia medievale e le mie peregrinazioni americane, l’Uomo Ragno mi accompagna come una sorta di fata turchina che mi dà delle dritte e mi fa capire che il vero super potere non è certo la ragnatela, non è certo volare, ma affrontare tutte le difficoltà della vita con il sorriso, un super potere che tutti abbiamo e nessuno ci può togliere».
Come ha raccontato più volte, la sua “ossessione” all'epoca erano gli Stati Uniti, l’American Dream che lo ha portato ad allontanarsi dagli 883. L’America è stata all'altezza dei sogni?
«Assolutamente sì. Adesso fa ridere perché non c'è più l'American Dream come 30, 35 anni fa. Ho vissuto là per diverso tempo, ho bevuto, ghiacciata e a canna, la bottiglia dell’American Dream, quindi chiaramente mi è venuta un po' di mal di pancia. Adesso, abitando a Parigi, mi sembra di avere piuttosto l'Italian Dream: ho voglia di una scorpacciata di Italia, venire lì in tutti i teatri della penisola e divertirmi».
Il suo ricordo più felice del periodo 883 e quello più triste?
«Forse coincidono. Alla fine di “Nord sud ovest est” (il secondo album degli 883, ndr), il produttore Claudio Cecchetto ci aveva invitato a cena a casa sua e io e Max eravamo ancora talmente in soggezione che non avevamo neanche il coraggio di chiedere di andare in bagno. Quando abbiamo terminato la cena e ci siamo salutati, siamo corsi fuori all’impazzata e siamo andati a fare pipì all'aperto, una cosa da ragazzini! È uno dei ricordi più ridicoli e belli e surrealisti che ho con Max, e anche triste: era la fine della mia avventura, qualche settimana dopo sarei partito per Miami».
Con Max, avete cantato la provincia in maniera unica, con una leggerezza profonda che sfociava più nella speranza che nella cupezza. Nella musica di oggi forse si fatica a ritrovare questo modo di cantare la provincia, non trova?
«Noi eravamo in periferia dell’“impero di Milano”. La maniera di scrivere di oggi forse non ha dei punti di riferimento così belli come nel passato, è una mia interpretazione, noi siamo stati fortunatissimi ad avere come modelli di ispirazione dei mostri sacri come ad esempio Springsteen. Oggi ci sono meno punti di riferimento e per questo c'è più difficoltà ad essere solari. Noi avevamo questa ovatta, questo cotone della provincia che ci accarezzava, però volevamo perforarlo per andare via. Questa ovatta forse si è un po’ persa».
La serie Sky “Hanno ucciso l’uomo ragno” imperversa. Ai tanti che negli anni si sono chiesti e si chiedono in che rapporti è rimasto con Pezzali, cosa risponde? Vi sentite?
«Io e Max non abbiamo mai litigato, chiaramente non siamo più i compagni di banco di scuola. Abbiamo avuto per una decina di anni una qualità di amicizia incredibile, e ci piace ricordarlo. Oggi ci sentiamo ogni tanto, per ridere e scambiarci delle cavolate».
“E forse quel che cerco neanche c'è” cantavate in Nord sud ovest est: cos'ha trovato fino ad oggi nelle sue tante vite tra Parigi e l'America e quello di oggi è un momento di ricerca?
«Quando cerchi sei in moto, stai guidando, sei per forza attento, non c'è ozio né noia. Che bellezza quando cerchi una meta… Oggi ho l’Italian Dream addosso e mi farebbe piacere scrivere e recitare. Negli Stati Uniti non sono riuscito ad affermarvi sotto questo punto di vista perché non avevo la padronanza della lingua, avevo sottovalutato questo aspetto».