Modena, Angelo Villari in Turandot al Comunale: «“Nessun dorma”, un’emozione nel teatro del maestro Pavarotti»
L'intervista: «È un’opera che amo per la sua profonda bellezza, ma nello stesso tempo un po’ la temo perché ho la consapevolezza della grande complessità vocale del ruolo che interpreto»
MODENA. Va in scena al Teatro Comunale di Modena questa sera (venerdì 13 marzo) alle 20, domani alle 18 e domenica alle 15.30 Turandot di Giacomo Puccini. L’opera ritorna in uno degli allestimenti più apprezzati del Comunale, già ripreso da importanti teatri in Italia e all’estero. La parte visiva dello spettacolo, presentato in coproduzione con i Teatri lirici di Piacenza, Ravenna e Rimini, è quella firmata da Giuseppe Frigeni nel 2003, ispirata nelle sue linee forti ed essenziali alle leggi estetiche e filosofiche che sottendono alla tradizione culturale cinese, dove è ambientata la vicenda. La direzione musicale è affidata a Marco Guidarini, alla guida anche dell’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini, del coro Lirico di Modena e del coro del Teatro Municipale di Piacenza preparati da Corrado Casati e delle voci bianche del Teatro Comunale di Modena preparate da Paolo Gattolin. Regia, coreografia, scene e luci di Giuseppe Frigeni sono riprese da Marina Frigeni con costumi di Amélie Haas.
Di rilievo il cast formato nei ruoli principali da Leah Gordon, Giacomo Prestia, Angelo Villari e Jaquelina Livieri oggi e domenica, mentre sabato i ruoli di Turandot e di Calaf saranno interpretati rispettivamente da France Dariz e Mikheil Sheshaberidze.
Angelo Villari, lei non è nuovo sul palco del Comunale, ma per la prima volta calca le scene con Turandot nel ruolo di Calaf. Come si sente?
«Mi sento inevitabilmente molto emozionato, più del solito e credo che possa essere palese la motivazione (sorride). La responsabilità di salire su questo palco ed interpretare uno dei personaggi per cui il maestro Luciano Pavarotti è maggiormente conosciuto nel mondo, non può che accrescere in me una certa “ansia da prestazione”. So che le aspettative del pubblico, in particolare quando sarà il momento di intonare la celeberrima aria “nessun dorma”, sono molto elevate e io ovviamente proverò a non deluder1le. Non ho mai conosciuto il maestro Pavarotti, non c’è stata l’occasione, eppure lo sento vicino e mi sento lusingato di cantare nel teatro dedicato a lui e alla grande Mirella Freni. Posso affermare che la responsabilità che sento incombere sulle mie spalle mi sta regalando però anche molta energia e determinazione».
Qual è il suo rapporto con questa opera?
«È un’opera che amo per la sua profonda bellezza, ma nello stesso tempo un po’ la temo perché ho la consapevolezza della grande complessità vocale del ruolo che interpreto. La parte di Calaf non è per niente semplice, ci sono momenti in cui la partitura per il tenore è ostica e richiede molta attenzione, concentrazione e tecnica eccelsa. Calaf non è assolutamente un ruolo che mi è vocalmente comodo e ogni volta mi richiede uno sforzo importante per essere pronto ad affrontare, nello scorrere della partitura musicale, momenti impervi»
Dal punto di vista umano invece cosa c’è di Calaf in lei?
«Sicuramente la determinazione nel raggiungimento degli obiettivi. Nella vita ho sempre cercato di fare ciò per cui sentivo spinta e passione, nonostante le difficoltà che incontravo sul percorso. Il fatto stesso di intraprendere questo tipo di carriera è stato frutto della mia determinazione dettata dall’amore per il canto nell’opera».
Quando ha deciso di fare il cantante?
«Fin da ragazzino avevo una predisposizione vocale al canto lirico. Mi divertiva cantare in quella maniera perché lo avvertivo facile. Poi accadde che a 25 anni ascoltai in cd “I pagliacci” di Leoncavallo e ne rimasi folgorato. Iniziai a prendere lezioni e grazie alla mia cocciutaggine a raggiungere un sogno decisi che quello sarebbe stato a tutti i costi il mio lavoro».
Qual è secondo lei l’attualità di quest’opera?
«Il fatto di parlare dell’amore e della sua potenza. Questo tema non passerà mai di moda, benché il contesto e i ruoli che giocano il personaggio maschile e quello femminile dell’opera oggi, grazie al cambiamento di mentalità, non hanno un rispecchiamento nella nostra società. Come commenta il regista, Giuseppe Frigeni, “Turandot non è una storia d’amore, ma lo scacco di un’illusione amorosa nel ribaltamento dei giochi di potere, delle leggi di un potere arcaico, attraversato dal cinismo maschilista, l’ambizione e l’arroganza di Calaf. Turandot non è la carnefice leggendaria, ma una donna ferita nel proprio orgoglio, vittima di una violenza maschile atavica».