«Saper accogliere le cose della vita è la ricetta per essere davvero felici»
Fabio Volo racconta una storia d’amore tra presente e passato del suo protagonista. «In “Tutto è qui per te” mi sono ispirato a esperienze vissute, la risposta l’ho trovata nell’accettazione»
Il nuovo romanzo di Fabio Volo, “Tutto è qui per te” (Mondadori), è un libro sulla linea d’ombra che ciascuno di noi si trova a superare alle età più differenti e inaspettate, sulla voglia di mettersi in gioco davvero, di predisporsi ad accogliere l’amore anziché rincorrerlo ovunque, sul valore che può avere anche la solitudine. Sul desiderio e la possibilità di un nuovo inizio.
La resa, la fermata e la ricerca. Fabio, possiamo dire che sono queste le parole che meglio descrivono l’essenza del tuo ultimo libro?
«Proprio così. Molto deriva da certe esperienze che ho avuto nella vita facendo anche pratiche di meditazione: affrontavo certe situazioni lottando quando a un certo punto, per quanto mi riguarda, ho trovato la risposta nell’accettazione, nell’accogliere. Certo, ci sono situazioni in cui devi lottare per cambiarle ma devi prima di tutto accogliere, pensando: questa è la situazione del momento, qual è il meglio che posso tirar fuori? Se non le combatti, le cose, spesso si sciolgono, e restano vive con l’energia che tu sprechi per combatterle».
Accogliere anche per liberarsi di certi fardelli del passato, come succede a Luca, il protagonista del tuo libro?
«Dal momento che accogli le cose che ti capitano, in un qualche modo ti liberi e molte non hanno più motivo di esistere, hanno fatto il loro compito: in questo senso, tutto è qui per te. Luca lotta costantemente, è un ragazzo convinto che la sua felicità, il suo stare bene, sia in qualcuno o in qualcosa. E invece poi capisce che, come la neve, appena tocca le cose che ha desiderato tanto, esse si sciolgono in mano perché la felicità è una porta che si apre da dentro. Finché Luca non sistema le cose dentro di sé, arriverà sempre a rompere un equilibrio all’interno di una relazione o situazione. Lui si ferma, fa questa ricerca interiore e riesce a trovare un suo star bene».
È la famosa storia delle farfalle che ritroviamo tra queste pagine?
«Esatto: se le insegui scappano, se coltivi un bel giardino loro vengono da te. Invece che inseguire la vita, è a un certo punto la vita che va incontro a Luca, portandogli ciò che è in armonia con lui, che non è necessariamente ciò che desideriamo. Noi attiriamo le cose in base a ciò che siamo».
L’amore è un tema ricorrente nei tuoi libri. Come si fa a scrivere d’amore senza cadere nella banalità? Tu, dopo tredici romanzi, come ci riesci?
«In realtà, secondo me, sono molto banali anche le mie cose: è difficile parlare d’amore senza essere banali anche perché è il tema centrale di tante storie, film, libri... Secondo me l’errore è confondere la banalità con l’ovvietà. La banalità non è una cosa brutta, è in tutte le cose ormai, bisogna stare attenti a evitare l’ovvietà».
Un cattivo uso dei social, ci avvicina a quell’ovvietà da cui è meglio prendere le distanze se vogliamo mantenere relazioni umane di spessore? Per Luca com’è?
«Intanto, se ad esempio due persone si sono perse, un motivo ci sarà e non sarà il semplice ritrovarsi sui social a ricostruire un rapporto. Luca va a riprendersi una fidanzata di quando aveva 20 anni, e il problema è sempre quello: spostare la nostra felicità nello spazio e nel tempo, della serie sono felice se torno indietro e non faccio gli errori di prima. Torna il tema del rincorrere e, a una certa età, si diventa pure nostalgici, quindi magari più che desiderare quella ragazza con cui sei stato, desideri ritrovare quello che sei stato tu in quegli anni».
Una specie di Sirena di Ulisse.
«Tu stai facendo il tuo percorso e queste sirene ti seducono dicendoti appunto che se ti compri una cosa, se stai con quella donna ecc. sarai felice, ma il percorso dell’Odissea è un percorso circolare dell’uomo verso se stesso ed è solo quello che ti può rendere felice: quando tu hai compiuto il tuo viaggio».
Tu sei uno che viaggia moltissimo e con riferimento all’Italia, hai detto che i giovani, oggi, se possono, fanno bene ad andarsene altrove…Perché?
«Perché è sempre meno meritocratica: se hai capacità, è meglio se te ne vai perché all’estero ti vengono riconosciute. Il nostro è un Paese vecchio, di vecchi che non danno nessun valore ai giovani, non sono considerati risorse da sostenere ma forza lavoro da sfruttare».
Dalla panetteria di famiglia a Brescia fino all’arrivo Milano. Per te, da giovane, che Paese è stato il nostro?
«Sono stato molto fortunato, ho iniziato a lavorare a 14 anni, passavo i pomeriggi con i miei amici ma la mattina ero nel mondo degli adulti e sono stato avvantaggiato in questo, perché l’ho conosciuto prima dei miei coetanei. Ho capito presto che la cultura non è esclusiva della scuola e che se uno è curioso, ama leggere, informarsi, impegnarsi, lo può fare anche al di fuori. La mia grande fortuna è che la mia famiglia non mi ha mai fatto sentire che dovevo raggiungere successi per essere amato, che sarebbero stati più orgogliosi di me se fossi stato un notaio piuttosto che un benzinaio, quindi mi sono sempre sentito libero, questo mi ha dato una grande forza. La mia casa interiore aveva basi molto solide quando sono arrivato a Milano: potevo fallire o avere successo e non sarebbe cambiato niente all’interno della mia famiglia. Quell’amore lì, l’ho sempre sentito e anche grazie ad esso vivo nell’armonia della mia persona, anche nelle mie contraddizioni».
La panetteria non c’è più ma nel frattempo hai aperto The Riff a Reggio Emilia con Benny Benassi.
«Forse un giorno riaprirò anche la panetteria, mi piacerebbe. Per adesso il locale a Reggio sta andando molto bene, è il primo e stiamo imparando tanto, spero di aprirne presto un altro, mi trovo molto bene in questo progetto».
E con Modena che legame hai?
«È una città che mi è capitato di frequentare con piacere in diverse occasioni, anche con Luciano Pavarotti. Sono rimasto molto amico di Nicoletta Mantovani, negli anni ci siamo sentiti spesso, e sono venuto ovviamente per Bottura».