Gazzetta di Modena

Modena «Vi racconto Enzo Ferrari e la moglie Laura Storia di affetto, rispetto e... di una mia bugia»

Michele Fuoco
Modena «Vi racconto Enzo Ferrari e la moglie Laura Storia di affetto, rispetto e... di una mia bugia»

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MODENA Quindici anni, dal 1974, accanto alla famiglia Ferrari. Un lungo periodo in cui Cesare Carani è stato l’angelo custode della salute del Grande Vecchio e della signora Laura. Una singolare esperienza per il medico curante che nel libro “Enzo e Laura Ferrari. Storia di due grandi pazienti” (Artioli Editore 1899, pp. 136, euro 22) racconta ora la storia di due grandi pazienti.

Questo suo libro rompe gli schemi di tanti volumi su Ferrari. Perché?

«Quando sono stato coinvolto da Ferrari per la parte medica, mi sono sempre preoccupato della mia professione. Andavo in pista, a vedere le automobili, i Gran Premi, ma sono rimasto il medico. Non un collaboratore dell’industria Ferrari. Come medico ho avuto la possibilità di vedere il mondo delle corse che mi piacevano da piccolo, perché mio padre quando avevo 10 anni cominciò a portarmi a Monza. Il fatto di essere con Ferrari mi permetteva di parlare di sport, ma anche di tanti argomenti al di fuori delle macchine».

Quali aspetti ha voluto fare emergere?

«Ho voluto soprattutto parlare della moglie Laura, una persona di cui non si parla mai, o in modo discorde. La descrivo come l’ho vista e conosciuta, come parlava con suo marito e come il marito si relazionava a lei. Ho fatto un racconto che equivale a delle fotografie tradotte in un libro. L’ho conosciuta sotto il profilo familiare, nei rapporti con il marito e mi è piaciuta. Era già ammalata, quando sono arrivato nella casa di largo Garibaldi. Non era facile il colloquio, ma una volta avviato il dialogo le parlavo dei miei figli e lei del suo Dino (Alfredino). Dalla signora portavo spesso i miei figli».

Come erano i rapporti tra i due?

«Abbastanza seri. Ma a volte anche con sorrisi, battute, con partecipazione di lei all’attività di Enzo che era molto corretto e anche affettuoso. Un affetto fatto di rispetto. Era sempre informato sul suo stato di salute. Guai per questa donna, tanto che quando lei morì, Ferrari andò in grave crisi depressiva, da trattare con farmaci».

Mi pare che di Ferrari emerga una figura diversa da quella un po’ burbera, autoritaria, di cui si è parlato spesso…

«È stato accusato di essere insensibile alla morte dei piloti. Non lo credo. Quando è morto Villeneuve, era molto provato. Lo stesso per l’incidente a Lauda. Ferrari, quando entrava in casa, si toglieva gli occhiali neri e parlavamo di tutto: medicina, macchine, ricerca. Un uomo che, a 90 anni, prima di morire, aveva delle idee molto moderne da superare tutti gli altri. Tutta la parte nuova dell’aerodinamica, dei materiali, lui la voleva in modo spasmodico. È la guerra che si determinò con gli altri, compresa l’uscita dal team di Mauro Forghieri al quale Ferrari voleva molto bene. Non voleva perderlo e fu inutile il tentativo mio e del collega Augusto Baldini di ricucire lo strappo, andando a Monghidoro, dove Forghieri era in vacanza. Ricordo che Ferrari sosteneva che gli aerei migliori erano i caccia inglesi che hanno un’aerodinamica superiore agli altri. “Quindi se sono bravi – diceva- a fare gli aerei, lo sono pur per le macchine”».

Lei era entrato soprattutto per curare la moglie?

«È vero. Ma poi Ferrari pretendeva un controllo a casa, tutti i giorni, al mattino e sera. Il venerdì, dovevo fare il prelievo per controllare l’azotemia, l’acido urico. Se tutto era normale, dedicava un giorno, il sabato o la domenica, ad un pasto molto abbondante. Tutte le sere mangiava un piatto a base di tapioca o un brodino. A mezzogiorno un pasto leggero al Cavallino di Maranello. Il mese più brutto era agosto perché la fabbrica era chiusa. ll giorno più nero il Ferragosto. Mi invitava a casa nel circuito di Fiorano, dove c’era la cuoca che era brava. Ferrari era triste, parlava poco».

Quando si è sentito di far parte della loro famiglia?

«Dopo la polmonite, confermata dal professor Coppo, ebbi subito l’impressione che mi voleva come medico (era seguito pure dal professore Erasmo Baldini). Buoni i rapporti con sua moglie che mi raccontava tante cose, compreso il fatto che fu lasciata, per poi riprenderla al ritorno, dal marito sulla strada (Fiorenzuola) per Milano, perché lei si lamentava per la forte velocità con cui Enzo guidava».

Erano bravi a seguir le cure?

«Sì, lui in particolare. Un giorno che Ferrari ebbe un ictus transitorio fu chiamato il 118, ma ripresosi volle farsi riportare nel suo letto. Allora mi fece giurare che per qualsiasi cosa non sarebbe mai stato portato all’ospedale. Voleva morire nel suo letto».

Perché ha deciso a scrivere questo libro solo adesso?

«Perché c’era il Covid, più tempo, e avevo già preparato uno schema. La mia inseparabile Beatrice mi ha stimolato per scrivere di Laura. Ho pubblicato alcune lettere. Lui scriveva bene con pensieri profondi e proprietà d linguaggio».

Perché è stato un periodo straordinario della sua vita?

«Molto ricco. Quando se n’è andato, credevo fosse una cosa naturale. Poi la sera ho capito che non c’era più. Ho cercato di fare anche il suo numero di telefono…».

Chi sono stati gli amici più cari?

«Posso dire che le persone più vicine sono state Dino, che era il suo autista, e il sottoscritto. Non era indifferente alla bellezza femminile: una volta ha voluto a pranzo il dott. Baldini e due belle specializzande. C’ero anch’io».

Lei parla anche di un suo peccato veniale per aver detto il falso sull’ora della morte di Ferrari…

«L’ho fatto per rispettare la sua volontà: voleva che il suo funerale si facesse all’alba senza clamore. Ho detto che era morto alle sette del mattino, invece che le sette di sera».

Può farci un ritratto breve del Drake?

«Un grande italiano, ricercatore e scienziato. Ha meritato la laurea honoris causa in ingegneria. Un uomo forse non molto capito. Ma lui non voleva neanche essere capito. Quegli occhiali scuri che portava sempre era un modo per nascondere, probabilmente, la sua emotività, la sua gentilezza, il suo carattere». —