Alziati e Febbraro, diversi ed attuali
Poesiafestival. A Castelnuovo la filosofa e il critico si misurano con Bertoni sul linguaggio e sulla realtà
CASTELNUOVO. «Credo, con Simone Weil, che il male costretto racchiuda sempre un immagine del bene – ha dichiarato la poetessa Cristina Alziati - Questo aspetto, per cui nel male o attraverso il raziocinio di quanto ci sta attorno ed è male, si apre la visibilità di qualcos’altro, è qualcosa cui la poesia non può mai venir meno».
Così Cristina Alziati, ospite del Poesia Festival insieme al poeta Paolo Febbraro e in dialogo con Alberto Bertoni.
«Due autori nati nella prima metà degli anni 60 – ha spiegato Bertoni - Una generazione rilevante per la nostra poesia, perchè costituita da voci già consolidate e capaci di trasmettere il senso di una esperienza condivisa. Sono voci diverse tra loro, stilisticamente, linguisticamente, come visione del mondo. Voci, stili, punti di vista autonomi, molto vivi e pieni di cose da trasmettere attraverso il testo poetico».
Alziati è una filosofa, «a dimostrazione che la poesia non è affatto qualcosa di opposto al pensiero e alla riflessione che passa attraverso il logos».
Autrice di due libri di poesia, il primo “A compimento” è uscito nel 2005 finalista del Premio Viareggio, l'altro è “Come non piangenti” del 2011.
«Il primo è stato dettato da un’urgenza politica – ha commentato l'autrice- Nel secondo, invece, ci sono dimensioni di esperienza diverse; l’offesa della storia e delle biografie private qui è molto presente».
Come si evince da alcuni versi della poesia che inaugura il libro “Presto dai vetri aperti stamattina / un baccano d’uccelli s’è levato. O folli /che fate È novembre / sbrigatevi, andate, lasciate ch’io qui / resti ancora a chiamare per nome ogni cosa Lasciateci / ch’io qui resti ancora a guardare / e altri / attraverso il deserto dei rami / tralucano / alberi”, «l’immagine dei piangenti non piangenti è “furto” che feci a Paolo di Tarso. Ero in un momento per me durissimo – ha spiegato Alziati – Mi resi conto che non riuscivo a liberarmi da un’esperienza del tempo che era solo quantitativo e non ero capace di trasformarlo in un tempo antropologico, conferendo ad esso il senso di una progettualità. L’immagine di Paolo mi sembrò una grandissima lezione sul tempo. Mi diceva che il tempo è un tempo di trasformazione e di attenzione all'altro».
«Paolo Febbraro, oltre a scrivere poesie, è anche critico molto presente e che parla di poesia in un modo tutt’altro tradizionale a volte anche scioccante», ha dichiarato Bertoni, introducendo il secondo poeta. Tra i numerosi libri da lui pubblicati l'ultimo è “Fuori per l'inverno”.
«Ho apprezzato qui d’acchito, la capacità di congiungere i due grandi serbatoi mitologici della nostra tradizione, quella giudaico cristiana, e quella greco romana – ha commentato Bertoni - Senza essere mitologizzante a priori, Febbraro riesce ad affondare i suoi vissuti interiori in questi serbatoi mitologici».
Ad esempio “Pietà”, «una poesia in cui ho immaginato ciò che Gesù può aver visto davanti a sè mentre era sulla croce – ha commentato Febbraro - Ho immaginato che avesse visto, nel momento della sua morte, il proprio tradimento. Il fatto che le persone stavano già superando la sua morte corporale per farne un simbolo».