Gazzetta di Modena

Sala racconta Alberto Artioli

di Claudio Gavioli

Nuovo romanzo sul pittore e la Modena che non c’è più

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MODENA. C'è un protagonista occulto nel bel romanzo di Francesco Sala “Il respiro della farfalla” (edizioni Artestampa). Oddio, occulto fino a un certo punto se è vero che la storia della vita breve e sfortunata del pittore modenese Alberto Artioli a cavallo tra la fine dell'800 e i primi del 900, è profondamente intrisa nell'atmosfera nebbiosa della nostra città, convitato di pietra che condiziona, suo malgrado, l'esistenza del giovane Artioli. Artioli è un pittore di provincia, figlio di artigiani poco abbienti, precario di salute ma ricco di felici folgorazioni e decisamente “avanti” per i costumi del tempo. Così avanti nelle sue intuizioni artistiche da doversi scontrare con l'impronta tradizionale della scuola pittorica del tempo ancorata alla precisione delle forme mentre sul palcoscenico mondiale andavano in scena le avanguardie che avrebbero completamente rivoluzionato e destrutturato il senso dell'arte. Altroché cubismo o surrealismo: al Regio Istituto di Belle Arti di Modena si copiavano pedissequamente i soggetti dalle forme scolpite sull'onda di un ostinato verismo e Artioli si doveva dannare per mantenere una borsa di studio vacillante a causa le sue intemperanze che lo portarono a gravi incomprensioni anche nei confronti dell'editore Angelo Fortunato Formiggini, suo principale benefattore. Non a caso non fece fortuna in vita e fu (in parte) scoperto soltanto dopo la morte avvenuta a soli 36 anni nel 1917. E qui sta la felice intuizione di Francesco Sala che seguendo le orme di un artista semisconosciuto ha saputo tratteggiare un esemplare ritratto d'epoca quando, per scelta scellerata del Consiglio Comunale, furono abbattute le mura che, ancora intatte, circondavano la città creando una suggestione unica e spazi impareggiabili; quando i cittadini cercavano refrigerio dalla feroce afa estiva nella Vascola, la grande piscina naturale adagiata in pieno centro dalle parti di San Pietro. Una città che viveva la spinta propulsiva del nuovo secolo, dove c'era voglia di confronto e di discussione e dove si cercava di dare vita a pubblicazioni letterarie in tempi in cui, per molte famiglie la prima preoccupazione era rimediare un tozzo di pane; tempi in cui, alla fine del portico del Collegio, arricchito dallo storico Bar Nazionale, come in una piccola, antesignana Las Vegas, c'era soltanto il deserto.