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Giulia Gabana rompe il silenzio in un’intervista esclusiva: «Racconto la mia verità»

di Lara Lugli

	Giulia Gabana, presidente di Modena Volley
Giulia Gabana, presidente di Modena Volley

La presidentessa di Modena Volley si racconta alla Gazzetta: progetto sportivo, risultati, rapporti coi tifosi e coi media

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MODENA La particolarità di Modena risiede nel fatto che parrebbero essere la città e la sua storia a guidare i presidenti che si sono succeduti, piuttosto che il contrario. In altre parole, Modena "ammette" i presidenti, che, a loro volta, provano a plasmarla dovendosi però adattare alla realtà e alla tradizione della città.

La società non è un'entità passiva in questa relazione, ma sembra esercitare un'influenza determinante sul destino e sul ruolo di chi la guida. Unico filo conduttore ed elemento imprescindibile è la passione e la dedizione totale che Modena richiede a chi sta al timone. Giulia Gabana non fa eccezione: donna con un solido bagaglio sportivo, si è trovata a misurarsi con un contesto esigente e complesso, dove lo sguardo pietrificante della Medusa modenese, non concede leggerezza, ma può premiare chi dimostra di comprenderne davvero l’anima.

Gabana, che presidente si sente?

«Posso dirle che presidente ho sempre cercato di essere. Credo che qualsiasi ruolo una persona possa ricoprire, un buon 70% venga delineato dalla propria personalità e carattere, il resto è definito dall’impegno che si mette nell’ambito in cui si trova. Ho sempre cercato di essere positiva, presente, aperta al confronto e dare a tutti quelli che lavorano all’interno di Modena Volley stabilità e fiducia cercando di rendere semplici le cose più difficili e chiedendo in cambio impegno e grinta in ogni singolo momento della giornata. Non so se ci sono sempre riuscita, ma questo è quello che avrei voluto».

Quanto è cresciuta professionalmente e personalmente a Modena?

«Tantissimo e molto velocemente, sia professionalmente che personalmente. Modena è una realtà unica e quello che credevo essere il meglio spesso non si è rivelato tale. Qui si respira pallavolo in ogni singolo angolo della città e si è costantemente sotto la lente di ingrandimento: si sentono tanti giudizi, spesso impietosi, dopo ogni scelta sportiva e non sportiva, ciò rende tutto molto stimolante, ma anche più duro. Mi sono ritrovata a dover imparare velocemente un nuovo modo di gestire un gruppo e una piazza, rispetto a quelle che erano le mie idee iniziali e, soprattutto, rispetto alla mia esperienza in Gabeca. È stato un percorso intenso».

Qual è stata la sfida più difficile che ha vissuto fino ad oggi a Modena e come l’ha affrontata?

«Ammetto che ci sono stati vari momenti tosti ed impegnativi. Forse la più difficile è stata decidere in una notte di prendere la maggioranza di Modena Volley senza sapere veramente a cosa sarei andata incontro. L’ho affrontata con determinazione e, soprattutto, senza paura, anche grazie alla consapevolezza di avere al mio fianco i fratelli Storci, persone di uno spessore umano e imprenditoriale altissimo. Oggi posso dire che la scelta di unirci è stata lungimirante e ci ha reso un’ottima squadra. Siamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda e sono sicura che ci toglieremo qualche soddisfazione. Inoltre sapevo di avere dei collaboratori in gamba e professionalmente di altissimo livello. E anche questa non è cosa scontata né da poco».

C’è un aspetto della gestione che la appassiona particolarmente?

«Sicuramente la parte sportiva. Io sono estremamente curiosa di sapere, conoscere e capire come far funzionare sempre meglio l’ingranaggio sportivo. L’esperienza di tutti i professionisti che sono passati da Modena Volley mi ha arricchito molto: nelle loro differenze ho imparato tantissimo. Ho ascoltato alcuni discorsi motivazionali e riunioni tecniche che mi hanno fatto amare ancora di più questo sport e capire che, pur masticando pallavolo da tutta una vita, non si finisce mai di imparare».

Come bilancia l’aspetto emotivo e quello manageriale nella gestione di una squadra?

«Questa credo sia la parte più complicata, l’emotività è parte integrante del mio carattere. Non necessariamente è sintomo di debolezza, ma ammetto che raramente riesco a tenerla fuori del tutto quando devo prendere decisioni. Ormai mi conosco e la so gestire. Credo che sia importante in alcune scelte, mentre in altre diventa un arma a doppio taglio, con gli anni ho comunque imparato a dosarla, senza eliminarla del tutto. Anche quando parlo ai ragazzi per me è importante trasmettere loro ogni cosa: non solo cosa mi aspetto da loro, ma anche come mi sento quando non si comportano come dovrebbero in campo. Le partite si possono vincere o perdere, ma l’atteggiamento e la grinta contano tantissimo per me».

Il progetto sportivo e societario di Modena Volley, guardandolo dall’esterno, a volte può apparire non del tutto definito o lineare. Ci può spiegare qual è la visione a lungo termine che sta guidando le scelte della società?

«Concordo, purtroppo. E c’è una spiegazione valida a quella che a volte viene percepita come poca chiarezza di intenti. Modena è la città per eccellenza del volley e come tale è sempre stata abituata a squadre di grandi campioni e a stagioni dove gli obiettivi erano molto ambiziosi. Da dopo il Covid molte cose sono cambiate e stiamo cercando di mantenere una società che si auto sostiene grazie al lavoro che facciamo ogni giorno, grazie ai nostri partner e grazie al pubblico. Al momento ci sono squadre che hanno budget quasi il doppio del nostro, a volte anche di più e per noi, oggi, è impossibile raggiungere il loro livello di spesa, quindi dobbiamo ragionare in modo diverso per competere con loro. Avevamo deciso di intraprendere un progetto giovane che, proprio perché giovane, sapevamo che avrebbe richiesto tempo per maturare e dare i suoi frutti. In questi anni ci siamo accorti che Modena è una piazza estremamente esigente e i risultati non possono tardare. Quindi abbiamo cercato di correggere la rotta per non deludere le aspettative. Ma in questi mesi ho capito che questo non è possibile: questi continui cambi di direzione comunque non sono la strada che vogliamo percorrere. L’esperienza di questi due anni ci ha insegnato molto e per il futuro cercheremo di portare avanti la nostra strada senza farci condizionare dall’ambiente che ci circonda, anche a costo di qualche malcontento in più, cosa che comunque non manca mai».

E come si traduce questa visione nelle decisioni quotidiane?

«Come dicevo prima, la nostra visione spesso si scontra con diverse variabili che, mai come qui a Modena, ho riscontrato nella gestione della società. Da una parte, gran parte dei nostri tifosi è legata ad un’immagine di Modena Volley molto competitiva che combatte sempre e solo per la vetta della classifica: i modenesi sognano sempre di vincere lo scudetto. Un sogno bellissimo che concorre a rendere Modena quella che è, ma da cui deriva anche un inevitabile condizionamento fatto di richieste e aspettative che abbiamo a volte fatto l’errore di voler soddisfare nell’immediato, perdendo di vista l’obiettivo di più lungo periodo: tornare a giocare nella parte alta della classifica. Nel quotidiano questo si è tradotto in alcuni cambi di rotta. Dall’altro lato c’è il mercato che inizia sempre prima: siamo arrivati ormai a dover decidere il futuro di alcuni giocatori a novembre, dopo due soli mesi di gioco e questo è un fallimento del sistema secondo me. E’ poco rispettoso verso i giocatori che sono in campo e che possono sentirsi giudicati dopo soli due mesi sapendo che il loro futuro potrebbe essere deciso senza aver ancora giocato neanche metà stagione. Capita quindi che a fine stagione le valutazioni fatte tanti mesi prima possano ribaltarsi completamente e che le decisioni iniziali vengano rivoluzionate creando scompiglio all’interno e diano all’esterno l’idea di poca chiarezza nella direzione che si vuole prendere. Quello che rimane un punto fermo è che ogni giorno lavoriamo e ci adoperiamo per creare la miglior squadra possibile».

C’è stato un consiglio che le hanno dato su Modena prima di diventare presidente e che si è rivelato esatto... oppure totalmente sbagliato?

«Ho ricevuto entrambi. Nel primo caso lo chiamerei più un avvertimento che un consiglio, che si è poi rivelato totalmente esatto, mentre di consigli sbagliati ce ne sono stati molti, ma nessuno in malafede, anzi. A Modena tutti pensano di saperne una più del diavolo e i consigli qui si sprecano. Io sono di natura estremamente accogliente ed inclusiva, qui ho dovuto, per sopravvivenza, limitare queste mie caratteristiche perché spesso mi sono tornate indietro come un boomerang. A Modena il pubblico non è solo un elemento di supporto, ma quasi un giudice che osserva e valuta».

C’è stato un momento in cui ha sentito la pressione o la responsabilità di dover dimostrare qualcosa di più a questa città?

«Direi quotidianamente. Quando sono diventata presidente di Modena alcuni miei colleghi presidenti mi scrissero: “che non si dica che ti manca il coraggio”. Questa frase, che all’inizio sembrava solo un complimento fine a se stesso, con il tempo ha preso il giusto significato: parlavano di coraggio vero e proprio! Modena è una piazza dove tutto viene enfatizzato: tutti si sentono in diritto e in dovere di dire la loro anche in modo molto severo e, di contro, riceviamo moltissimo affetto e incoraggiamento. E, quando il Palazzo è pieno, è imparagonabile a qualsiasi altro posto. Insomma fa tutto parte della magia di questo posto che è unico al mondo. L’unico appunto che faccio e che ancora non riesco a capire, è il comportamento disfattista di alcuni tifosi e ogni tanto dei media che, con una visione eccessivamente negativa e polemica, non fanno il bene di questa società. Il fatto che rilasci poche interviste o intervenga raramente nel dibattito pubblico può essere interpretato come un segnale di distacco o di scarsa volontà di rispondere alle provocazioni».

Non rilasciare interviste o intervenire pochissimo, è pur sempre un segnale di influenzamento da parte di chi la provoca. Non trova?

«Questa è una domanda a cui tengo particolarmente e un po’ si riallaccia a quanto ho detto prima. Quando mi è stato chiesto di intervenire o di rilasciare interviste non mi sono mai tirata indietro, questo lo premetto. Non mi faccio influenzare dalle provocazioni né tanto meno le temo, ma ho notato come spesso le mie parole siano state strumentalizzate in maniera negativa e fuorviante. Titoli con virgolettati mai detti e concetti riportati in maniera diversa che ne hanno cambiato il significato, che hanno creato malintesi con diverse persone. Questo è successo varie volte e non solo nelle interviste, ma anche in caso di comunicati stampa della società che, ai miei occhi sembravano chiari e diretti, ma che inspiegabilmente venivano reinterpretati e distorti. Per evitare polemiche ed ulteriori provocazioni spesso scegliamo il silenzio. Ma quando dobbiamo dire la nostra per qualcosa di importante non è mai mancata la nostra voce, né tanto meno la mia».

C’è qualcuno che avrebbe voluto mandare a quel paese ma non lo ha fatto?

«Sì, certo che sì. Non dirò il nome per ovvi motivi, ma questa persona mi ha pugnalata alle spalle e, per il ruolo che ho, non ho mai potuto mandarlo a quel paese come avrei voluto. Mai dire mai».

E, al contrario c’è invece qualcuno che avrebbe voluto ringraziare e non lo ha fatto?

« Sì, Andrea Parenti. È, anzi era, un nostro ottimo commerciale, un pilastro per Modena Volley che è mancato l’estate scorsa. Quando è finita la stagione e sono partita per il mare, l’ho salutato e abbracciato convinta di rivederlo qualche mese dopo. Ecco, avrei voluto sapesse quanto ero orgogliosa del suo lavoro e quanto era importante per questa società e in particolare per me. Era una persona che mi stava accanto e che mi voleva molto bene e ogni volta che arrivavo a Modena mi supportava con affetto. Era un sostegno importantissimo per me. Mi ha insegnato a non rimandare le cose e dirle sempre nel momento in cui le sentiamo. Avrei voluto dirgli più volte quanto gli ero grata per tutto quello che faceva e che ha sempre fatto per questa società e per me».

Un’ultima domanda: se potesse riportare in campo un giocatore che si è ritirato chi sarebbe?

«Ce ne sarebbero parecchi. Ma forse le direi Nicola Grbic e Lorenzo Bernardi. Facciamo che mi limito a due» . l