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L’intervista

La dinastia dei Baschieri continua: Emma sulle orme di papà Roberto

di Gigi Zini

	Emma Baschieri dopo la vittoria e, a destra, papà Roberto
Emma Baschieri dopo la vittoria e, a destra, papà Roberto

A 18 anni, la figlia del “king” modenese degli sport da combattimento e della muay thai ha debuttato con una netta vittoria nel match di K1 contro la 32enne haitiana Felicia Nicolas in occasione dell’Extreme Cage Fight a Long Island, New York: «Una grande emozione»

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NEW YORK. Perché appendere i guantoni al chiodo quando in realtà potrei passarli direttamente a mia figlia? È quello che evidentemente ha pensato Roberto Baschieri, il “king” modenese degli sport da combattimento e della muay thai (boxe thailandese, ndr) che, chiusa la carriera agonistica, il chiodo non lo ha nemmeno guardato. No, i suoi occhi hanno incrociato lo sguardo di Emma e ha capito subito: erano sue le mani migliori a cui affidare il “testimone” a dieci once, quei guantoni che lo hanno portato a combattere e vincere in Italia e nel mondo. E, risultati alla mano, se il buongiorno si vede dal mattino, ha fatto bene: già, perché Emma, 18 anni appena compiuti, ha esordito lo scorso 14 dicembre con una netta vittoria nel suo primo match di K1 imponendosi contro la 32enne haitiana Felicia Nicolas del team Tiger Schulmann (uno dei più importanti della UFC) in occasione dell’evento Extreme Cage Fight a Long Island, New York, portando in alto il tricolore e i colori gialloblu proprio nel cuore della grande mela. Sì, perché è proprio lì che Roberto Baschieri, sua moglie Angelica e i figli Emma e Massimo si sono trasferiti da ormai sette anni: e nel viaggio oltreoceano, in un valigione giocoforza bello grosso, Roberto ha portato con sé tutta la sua storia sportiva e la sua passione per la muay thai, come emerso in questa chiacchierata dove ad incrociarsi non sono stati i guantoni, ma l’amore di un papà per sua figlia. E viceversa.

  • L’INTERVISTA A EMMA

Emma, una bella partenza col botto: cosa stai provando in questo momento?

«Sono ovviamente molto felice, è un’emozione veramente grande: sento che sono stati ripagati tutti gli sforzi e tutte le fatiche degli allenamenti, compresi quelli fatti sin da piccolina».

Come è stato il match e soprattutto cosa hai provato entrando per la prima volta in gabbia (ring esagonale)?

«Sono sempre rimasta calma, l’emozione si è fatta sentire solo mentre stavo entrando in gabbia: in quel momento ho provato un po’ di ansia, ma poi mi sono subito rilassata e ho impostato il mio ritmo, ho studiato l’avversario per poi partire con i miei colpi, molti calci frontali, molti low kick (calci bassi, ndr) e calci alti, puntando alla testa. Ecco, questo è stato un po’ il mio “biglietto da visita”. Sapevo di avere davanti un’avversaria molto più grande di me e molto preparata, ma sono andata avanti per la mia strada con la massima concentrazione. Tra l’altro dopo i primi pugni mi sono subito resa conto che, abituata ad allenarmi quotidianamente con avversari maschi, i suoi non erano quasi niente se confrontati a quelli che ricevo in allenamento. Quindi mi sono detta: vai, fai e vinci. E così è stato, lavorando di testa e di tecnica».

Combattere davanti alla tua famiglia con il papà all’angolo come tuo coach cosa ha significato?

«Una grandissima soddisfazione, sono orgogliosa di avergli fatto vedere di che pasta sono fatta. I miei mi sostengono da sempre e sono molto felice di questo risultato. Tra l’altro mio padre mi ha confessato di essersi sentito molto più sotto stress in questa occasione rispetto a quando combatteva lui».

A proposito, com’è il papà all’angolo?

«Un urlo continuo, sempre dritto al punto, molto concentrato, con indicazioni dettagliate e precise, sui colpi e sulla strategia. Si è sempre posto nei miei confronti non come un padre, ma proprio come un allenatore, senza mai smettere di darmi una bella carica. Tra l’altro nel terzo e ultimo round stavo quasi per riuscire a mettere ko la mia avversaria».

Cresciuta in mezzo a guantoni e sacchi, per te è stato naturale fare questa scelta sportiva? In sostanza, è stata "colpa" del papà?

«Sì, è stata tutta colpa sua» ammette ridendo. «Andavo a vedere gli allenamenti del papà sin da piccolina ed è stato automatico che mi avvicinassi a questi sport. Ho iniziato a dieci anni con il Brasilian Ju Jitsu (in sintesi, lotta in piedi e a terra abbreviabile in BJJ, ndr) allenata da Kilian Tartarini, allo Shoot Team di Modena; a 11, arrivata negli States, i primi match e le prime medaglie vinte. Poi piano piano, sempre seguendo gli allenamenti di mio padre, sono passata alla thai: all’inizio mi sembravano tutte montagne da scalare, ma ho deciso di provare, mettendoci tutta me stessa».

Meglio il bjj o la muay thai?

«Difficile rispondere, è un po’ come dover scegliere tra pizza e gelato! Ora sono davvero molto focalizzata sulla muay thai: il 22 febbraio probabilmente combatterò di nuovo, sempre a New York, in attesa di poter passare, dopo i primi quattro match, alla thai tradizionale, usando così anche le gomitate».

Hai dei campioni di riferimento?

Silenzio, si gira verso Roberto e con un sorriso “a 35 denti” punta il dito verso di lui: «È il mio papà il mio campione di riferimento».

A chi dedichi questa prima vittoria?

«Ai miei genitori e a mio fratello Massimo, ringraziandoli di cuore per tutta la forza e tutto il loro sostegno, fondamentale. Questa vittoria è per loro e anche per tutto il mio team».

  • L’INTERVISTA A ROBERTO

Un’emozione, dunque, fortissima quella che traspare come un dipinto a tinte chiarissime, non solo dalle parole di Emma, ma anche dagli occhi del suo papà che durante l’intervista non ha smesso un secondo di coccolarla con lo sguardo. Robby, il frutto quindi non cade mai troppo distante dall’albero…

«Sì, è così. Anche se non avrei mai pensato che Emma arrivasse addirittura a combattere. Poi, negli anni, a forza di vedermi in palestra, anche come coach, è scoccata la scintilla. Ora questa vittoria, mantenendo i piedi ben piantati a terra. E’ però un primo passo, importante».

Qual è il consiglio che le hai dato prima che facesse il suo ingresso in gabbia?

«Le ho ricordato che i match prima si vincono in testa, poi sul ring, dicendole ciò che mi diceva all’angolo quando combattevo il mio coach Luca Silingardi: i fenomeni non esistono, hanno tutti due braccia e due gambe come te e il tuo avversario ha le tue stesse identiche paure, ricordandole ciò che le ripeto sempre, i nostri limiti sono solo nella nostra testa. Sul fronte tecnico ho preso ad esempio gli antichi legionari romani: scudo alto in difesa, spada pronta e apertura improvvisa per colpire, poi scudo giù, di nuovo in copertura».

Cos’hai provato vedendola combattere e vincere nel suo match d’esordio? E lo chiedo con tre declinazioni, da campione, da allenatore e da papà.

«Da campione subisci l’emozione, perché va sul ring il tuo portabandiera, il tuo successore. Da papà è andato sul ring un pezzo importante del mio cuore, ma da quando è iniziato il match ero solo allenatore, e da coach non posso che essere soddisfatto: è stata bravissima e perché mi ha ascoltato con grande lucidità».

Emma è in buona compagnia: anche il fratello Massimo, più piccolo (15 anni), sta iniziando a scaldare i guantoni…

«Sì, fino a qualche mese fa si era dedicato molto al football americano. Adesso, invece, sta iniziando anche lui».

Com’è cambiata la tua vita da quando sei atterrato negli States?

«È completamente cambiata, in meglio: ho intrapreso la carriera di coach e mi sto dedicando ininterrottamente alla passione della mia vita, con grandi soddisfazioni. Pensa, sono considerato il migliore Muay Thai coach ed il migliore striking coach per l’MMA nelle zone tra New York e New Jersey. E in questi anni ho allenato per la parte di striking, preparandoli per i match UFC, atleti del calibro di Shane Burgos, Lyman Good, Julio Arce, Mike Trizano, Nick Newell, Dillon Danis, Ariane Lipski».

Ti manca Modena?

«Certo, così come mi mancano i miei famigliari e gli amici che saluto con affetto. A giugno, comunque, torniamo in Italia perché Emma combatterà a Verona in occasione del Amazing MuayThai World Festival. Ovviamente passerò da Modena, per fare anche un pieno di tortellini».

Qual è per te oggi il significato della parola felicità?

«Vedere, insieme a mia moglie, i miei figli felici e realizzati».

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