Gazzetta di Modena

Modena

25 Aprile – L’intervista

Romano Minozzi e la “sua” Festa della Liberazione: «Trovai i cadaveri di due repubblichini: fu un medico a salvarmi, gli devo la vita»

di Giovanni Balugani
Romano Minozzi e la “sua” Festa della Liberazione: «Trovai i cadaveri di due repubblichini: fu un medico a salvarmi, gli devo la vita»

Aveva 10 anni nel 1945, era un bambino ma di quell’età si ricorda tutto: «Ci svegliavamo la domenica e non sapevamo che cosa avremmo mangiato»

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SASSUOLO. «C’era vento. Ricordo un vento fortissimo. E il rumore delle mitragliatrici, trasportato da chissà dove. Ecco cosa ricordo di quel giorno. Del giorno della Liberazione».
Romano Minozzi aveva 10 anni nel 1945. Era un bambino, «ma di quell’età ci si ricorda tutto, e certi dettagli non si possono dimenticare». Nemmeno oggi, che di anni ne ha 90 e che in una vita, partendo dal nulla, ha creato un impero che certe riviste specializzate misurano in dollari: 1,9 miliardi, per l’esattezza, frutto della lungimirante visione imprenditoriale che gli ha permesso di portare Iris Ceramica al centro del mondo.

La sua storia
Ma la voce del “dottore”, come tutti lo chiamano, si rompe per la commozione ricordando quel periodo: «Sono cresciuto nel territorio di Castelnuovo. Sono nato in quello che chiamavano il “Canton del diavolo”. La mia infanzia l’ho trascorsa nel fiume, che poi in realtà un fiume non era, bensì un torrente. La nostra casa era l’ultima ad affacciarsi sul Tiepido. E lì, lungo l’argine, trascorrevo le mie giornate». Ma l’argine, in tempo di guerra, non è un luogo adatto ai bambini: rappresenta una naturale difesa. «Lì passavano partigiani, tedeschi, repubblichini. I nazisti scavavano trincee, allestivano trappole per i partigiani». Era la guerra. E la guerra porta i morti, che tu sia bambino o meno, te li sbatte in faccia. «Io e il mio amico Giancarlo un giorno, sotto alcune frasche, vedemmo due cadaveri. Non lo sapevamo, ma stavamo correndo un enorme pericolo. Erano i corpi di due repubblichini e soltanto la parola di un uomo ci ha salvato: quella del medico condotto di Castelnuovo. Il dottor Bizzarri certificò che erano stati ammazzati altrove e poi trasportati lì già cadaveri. Le autorità gli credettero e così fummo salvi. Altrimenti avrebbero bruciato le nostre case, e chissà cos’altro».

Tornare a quegli anni
La vita della famiglia Minozzi era quella tipica della campagna modenese della prima metà del Novecento, in cui il sacrificio, la povertà e la fame erano compagni di viaggio inseparabili. «Vivevamo tutti con la nonna, il nonno non c’era più. Su un terreno di 12 biolche modenesi c’era la mia famiglia e quella di mio zio Pierino. Mia nonna e mia madre andavano a la fóia, come si dice in dialetto. Andavano a strappare le foglie dagli alberi a mani nude, le riponevano in un sacco per dar da mangiare alle bestie. Dal 1944 al 1947 fu durissima; il 1945 l’anno peggiore. Ci svegliavamo la domenica mattina e non avevamo nulla da mangiare. E quella è stata la mia vita, fino al 1955: ho vissuto la cultura contadina fino ai 15 anni, quando poi ho avuto la possibilità di studiare». Anni che hanno forgiato il “dottore”: «Quelle radici mi sono servite, mi hanno temprato». “Radici” è un termine che Minozzi ripete spesso. Non è un caso: «Vorrei, con queste mie parole, tramandare le radici ai giovani del nostro Paese. Perché senza di esse siamo persi. La nostra cultura, la cultura italiana, è molto importante: va studiata e approfondita, e questa ideologia Woke ci sta rovinando, perché non si cancella la storia. Anzi, semmai va ammodernata». Di nuovo la metafora delle radici: «Un albero ha radici profonde, un tronco, i rami e le foglie. Poi è giusto che abbia germogli freschi, che su quell’impianto vanno a rinverdire la pianta. Per questo dico: beata gioventù, ma con lo sguardo sempre attento alla nostra cultura».

Le sue radici
Parte delle radici del dottor Minozzi affondano a Guiglia, dove il primo sindaco della Liberazione portava proprio il suo cognome, perché altri non era che Antonio Minozzi. «Mio zio». Pausa. «Mio zio Tonino. Quando venne eletto sindaco andammo in municipio a trovarlo, tutta la famiglia andò, ed eravamo davvero orgogliosi di avere un parente così importante». Antonio Minozzi fu partigiano, noto con il nome di battaglia “Il Morino”, ma è soprattutto la sua carriera politica che, a 80 anni di distanza, il nipote Romano evidenzia: «Tonino era un uomo di cultura, il vero intellettuale della famiglia. Era molto intelligente e generoso, del tutto disinteressato al denaro e alle cose materiali. Diciamo un politico all’antica, di quelli che vivevano per gli ideali, che sacrificarono tutto per gli ideali». Protagonista della Resistenza. Già, ma la Resistenza ha ancora un senso 80 anni dopo? «Sì, lo ha, anche se si sta disperdendo. Ha un senso per il sacrificio che tanti, come mio zio Tonino, hanno fatto: hanno dato la loro gioventù in mezzo ai monti per difendere gli ideali di libertà». Di nuovo la voce di Romano Minozzi trema per il trasporto: «Provo commozione e tanta nostalgia, un po’ perché sto rivivendo quei giorni e un po’ per il ricordo di mio Tonino, un uomo eccezionale».

Il ricordo

Non è un caso che Antonio Minozzi sarà uno dei partigiani ricordati domenica a Pompeano in occasione della presentazione del “Sentiero della Libertà e del Bioviandante”, un progetto che vuole unire la memoria della Resistenza alla sostenibilità, tema che Romano Minozzi ben conosce: «Già mezzo secolo fa, nei miei impianti, feci scrivere su tutte le linee di produzione “Economia = Ecologia”. Un concetto che allora era all’avanguardia: l’economia deve essere al servizio dell’uomo e non viceversa. In qualunque ambiente, sia nella città, sia in campagna, sia nell’industria, l’economia deve creare un ambiente ideale per viverci in armonia». Parole messe in pratica 50 anni fa da una delle aziende più grandi del distretto ceramico sassolese, quando la sostenibilità era ancora ben lontana dall’essere una priorità della linea politica mondiale. Forse non è un caso che quell’idea fosse, invece, così chiara e limpida in un bambino cresciuto sull’argine di un torrente, che sembrava un fiume. Dove i partigiani lottavano per la libertà. Dove la Resistenza era anche svegliarsi la mattina e non sapere cosa mangiare. Dove le radici sono così profonde.