Alice Neri, il generale Garofano al processo: «Sul reggiseno traccia di un ignoto, si può risalire al Dna»
L’ex comandante dei Ris di Parma chiamato come consulente su richiesta dell’avvocato Antonio Ingroia: si è occupato di tutti i principali casi di cronaca nera in Italia tra cui la strage di Erba, il serial killer Bilancia, il delitto di Novi Ligure, il caso Cogne, il caso Carretta e il delitto di Garlasco
MODENA. «Alice Neri è stata uccisa con un coltello importante, non con un coltellino con una lama da 5 centimetri». A dirlo è il generale Luciano Garofano, per 14 anni comandante dei Ris di Parma che si è occupato di tutti i principali casi di cronaca nera in Italia, tra cui la strage di Erba, il serial killer Bilancia, il delitto di Novi Ligure, il caso Cogne, il caso Carretta e il delitto di Garlasco. Dopo il medico legale Cristina Cattaneo, ieri è stata la volta di un altro superesperto di calibro nazionale nel processo per l’omicidio della 32enne di Ravarino trovata carbonizzata nel baule della sua auto a Fossa di Concordia il 18 novembre 2022. Unico imputato, il 31enne tunisino Mohamed Gaaloul. Garofano ieri è stato sentito come consulente su richiesta dell’avvocato Antonio Ingroia, parte civile che rappresenta Nicholas Negrini, il marito di Alice. Il generale ha fatto un’analisi molto approfondita dal punto di vista biologico, ma si è soffermato anche sull’arma del delitto contraddicendo l’ipotesi della Cattaneo sull’utilizzo di un piccolo coltello.
L’arma del delitto
«Concordo sul fatto che la vittima sia stata raggiunta da diversi fendenti – ha detto Garofano – ma io penso si sia trattato di un coltello di dimensioni importanti, non di 5-6 centimetri. Alice è stata trafitta in profondità, i colpi hanno attinto molte vertebre e anche la tasca del cuore. Si è difesa, riportando tagli alle mani: questo sangue avrebbe reso scivolosa l’impugnatura di un coltellino». Il punto non è un dettaglio: l’arma del delitto non è mai stata trovata, e l’accusa presuppone che si tratti di un coltello tascabile che Gaaloul poteva tenere in tasca. Non certo un coltello da cucina, che non poteva portare con sé quella sera. In realtà Garofano non ha chiuso all’idea di un coltello tascabile. «Potrebbe trattarsi di un coltello a serramanico a scatto?» gli ha chiesto l’avvocato Cosimo Zaccaria, parte civile per la madre di Alice. Anche il coltello a serramanico infatti è tascabile. «Non escludo che possa trattarsi di un coltello a serramanico di una decina di centimetri – ha risposto Garofano – purché dotato di una presa decisa che permettesse di mantenere l’impugnatura salda anche in presenza di sangue».
Il reggiseno
Garofano si è soffermato a lungo anche sui tre reperti che ha analizzato, trovati vicino all’auto bruciata: la sigaretta neo, la spallina del reggiseno e la tanica d’olio. Il generale ha concordato sul fatto che sulla sigaretta ci sia il Dna sia di Alice che di Gaaloul. E che sul manico della tanica ci sia quello di Gaaloul. Il punto al centro anche delle domande dei pm (Giuseppe Amara e Claudia Natalini) è stato invece la spallina. «Oltre a quello di Alice, sulla bretellina del reggiseno c’è un Dna che non può essere riferito a Gaaloul» ha detto con sicurezza Garofano. «È un profilo maschile, ma non è né dell’imputato né di altri sospettati in questa vicenda. È il Dna di un ignoto». Un Dna che potrebbe essere meglio ricostruito con un ulteriore esame dei residui di quanto estratto dal reperto, molto degradato. Sia i pm che la presidente della Corte d’Assise, Ester Russo, si sono soffermati molto sull’eventuale necessità di questo ulteriore esame per individuare di che persona si tratta: «Io credo che da un ulteriore esame si possa individuare un Dna maschile idoneo al confronto con quello di altre persone – ha osservato Garofano – ma non so se questo Dna possa essere riconducibile all’autore del reato». Potrebbe dunque trattarsi di qualcuno totalmente estraneo alla vicenda, visto anche che, come ha evidenziato lo stesso generale, non è possibile datare le tracce biologiche. Il contatto dunque potrebbe essere anche di diverso tempo precedente al delitto. Oppure potrebbe trattarsi di una contaminazione di qualcuno che ha toccato il reperto. Nel pomeriggio è stata sentita anche la criminalista Katia Sartori, sempre come consulente di Ingroia, ma l’avvocato ha chiesto ed ottenuto l’esame a porte chiuse perché nella sua relazione ha fatto riferimento a circostanze e fatti giudicati sensibili, inclusa la questione del famoso “terzo uomo”.
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