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«Il mio viaggio di speranza verso l’Emilia: sei mesi prigioniero in Libia. Ricordo l’odore delle ossa dei migranti morti»

di Zaccaria Habachi*
«Il mio viaggio di speranza verso l’Emilia: sei mesi prigioniero in Libia. Ricordo l’odore delle ossa dei migranti morti»

Un 23enne algerino migrato in Italia racconta come è arrivato a uno studente del Silvio d’Arzo: una testimonianza drammatica, ma carica di speranza

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Un ragazzo di una scuola superiore intervista in arabo un migrante algerino arrivato in Emilia. Già questa è una notizia su cui riflettere. Ne esce, poi, un racconto di vita, fatto di sofferenza e paura, sogni e opportunità. L’episodio è accaduto a Reggio Emilia, ma oggi abbiamo deciso di pubblicarlo su tutti i nostri quotidiani emiliani (Gazzetta di Reggio, Gazzetta di Modena, La Nuova Ferrara) in una chiave diversa dal solito. Potete leggere l’intervista in italiano, tradotta dagli studenti. Ma nelle stesse pagine trovate anche l’intervista in inglese e in francese. Una scelta spiazzante? Per noi motivata. Un esperimento? No, una prima volta. Merito della sensibilità della redazione della Gazzetta di Reggio, che ha creduto in questa prima traduzione. Il perché è nelle parole dello stesso ragazzo algerino. Ad un certo punto, infatti, risponde: «Voglio vivere in un posto dove non devo più avere paura, dove posso lavorare e, soprattutto, contribuire alla comunità». Ecco, una storia come questa, raccontata in tre lingue, crediamo sia una risposta - non la sola che un quotidiano può dare, ma certamente una delle più incisive - al servizio della nostra comunità.

Il direttore Davide Berti

REGGIO EMILIA. Incontro “Sam”, nome di fantasia a tutela dell’intervistato, davanti a un tè. La conversazione avviene in arabo. Ha 23 anni ed è originario dell’Algeria. Ci racconta che il viaggio dal suo Paese di origine, terminato nella nostra provincia, è durato quasi un anno. È stato un percorso pieno di ostacoli, il suo, che ha conosciuto anche l’orrore dei lager libici.

Iniziamo dalla tua storia. Perché hai deciso di emigrare in Italia?

«In Algeria la vita era diventata davvero difficile. Le difficoltà economiche, la mancanza di lavoro e la situazione politica mi hanno spinto a cercare un futuro migliore. Ho deciso di emigrare in Italia con la speranza di trovare un’opportunità per ricominciare da capo, per vivere una vita più sicura, per me e per la mia famiglia. Non è stato un passo facile, ma sentivo che non c’erano altre scelte». Raccontaci di più su come è andata. «Il mio viaggio è iniziato in Algeria e da lì sono passato in Libia, dove le cose sono diventate davvero brutte. In Libia sono stato rapito dai soldati e sono stato prigioniero per sei mesi. Le condizioni erano disumane. In quel periodo, non c’era cibo né acqua, il caldo era insopportabile e c’era la continua paura di morire. Ma una delle cose più devastanti che ricordo era l’odore delle ossa dei migranti morti. La Libia è un inferno per chi cerca una via di fuga. Un episodio che mi ha segnato particolarmente è avvenuto quando, durante una delle torture, un ragazzino di soli 14 anni mi ha puntato un fucile in testa. Pensavano che fossi una spia, quindi ci stava frustando per costringerci a confessare cose che non avevamo mai fatto. È stato un momento davvero terrificante, ma proprio in quel periodo, quando pensavo che tutto fosse perduto, sono riuscito a scappare. Ho visto una piccola opportunità e, con il cuore in gola, sono riuscito a fuggire».

Dev’essere stato davvero un incubo. Come hai trovato la forza per andare avanti?

«È stato difficile, ma sentivo che non avevo scelta. Se fossi rimasto lì, non sarei mai uscito vivo. La paura era costante, ma la speranza di una vita migliore mi dava la forza di andare avanti. Ho continuato il mio viaggio, attraversando il Mediterraneo fino ad arrivare in Grecia, e da lì ho proseguito attraverso i Balcani, passando per paesi come la Macedonia, la Serbia e l’Ungheria. Ogni passo sembrava un miracolo, ma avevo un obiettivo: l’Italia. Sentivo che l’Italia poteva darmi una nuova opportunità, anche se il cammino non era per niente facile. Quando sono arrivato in Austria, ero talmente stremato che ho chiesto asilo politico, sperando che potessero darmi una mano. Ma purtroppo la mia richiesta è stata rifiutata. È stato un colpo durissimo». Cosa hai provato in quel momento?

«Mi sentivo perso. Dopo tutto il lungo viaggio, tutte le difficoltà, pensavo che finalmente avrei trovato un posto dove stare, un luogo dove la mia vita potesse ricominciare, ma mi hanno detto di tornare indietro. Ero davvero sul punto di arrendermi, pensavo che forse era meglio tornare a casa, anche se significava rinunciare a tutto ciò per cui avevo lottato. Ma proprio in quel momento, quando mi sentivo più giù, qualcosa è cambiato. Un autobus è passato, e per pura fortuna, sono riuscito a salirci sopra. Quell’autobus mi ha portato verso il nord Italia».

Immagino sia stato un momento di incredibile sollievo per te. Come ti sei sentito quando finalmente sei arrivato in Italia?

«Quando sono arrivato in Italia, prima in Trentino, poi a Venezia e infine qui in Emilia-Romagna, è stato come un sogno che si avverava. Non posso descrivere completamente cosa ho provato, ma c’era un senso di speranza che non avevo mai provato prima. Ero finalmente in un posto dove sapevo che avrei avuto una possibilità. Ma non è stato tutto facile. La lingua, la cultura, il trovare un posto dove stare… ero completamente solo, senza nessuno che conoscessi. All’inizio mi sentivo smarrito, ma il pensiero che ce l’avevo fatta, che avevo superato tutti quei pericoli, mi dava la forza per continuare a lottare».

Ora che sei in Italia, qual è la tua speranza per il futuro?

«La mia speranza è quella di costruire una vita stabile. Voglio imparare bene l’italiano, trovare un lavoro e finalmente sentirmi parte di questa comunità. Voglio aiutare la mia famiglia e, un giorno, magari riuscire a portarli in Italia. Spero che, nonostante tutte le difficoltà che ho affrontato, questo Paese possa darmi una seconda possibilità. Voglio dimostrare che, anche se il viaggio è stato lungo e pieno di sofferenza, con determinazione e speranza si può trovare una nuova vita. Voglio vivere in un posto dove non devo più avere paura, dove posso lavorare e, soprattutto, contribuire alla comunità».

Grazie mille, Sam, per aver condiviso la tua storia con noi. Ti auguriamo il meglio per il tuo futuro in Italia.

«Grazie a voi. La mia storia è una di tante, ma spero che possa essere di speranza per chi sta affrontando un percorso simile. Non bisogna mai arrendersi. Con perseveranza e speranza, si può costruire un futuro migliore».

 *Studente della 3ªB dell’istituto Silvio d’Arzo di Sant’Ilario