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L'intervista

Il dottor Starace lascia Modena: «Sarò sempre legato a questa città»

di Chiara Marchetti
Il dottor Starace lascia Modena: «Sarò sempre legato a questa città»

Il direttore di Salute mentale e Dipendenze patologiche va a Torino

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MODENA. Un trasloco, la perdita del partner e del lavoro sono considerati, in psichiatria, le prime tre cause che portano a un disagio psichico. Lo spiega Fabrizio Starace, 66 anni e ormai ex direttore del Dipartimento di Salute mentale e Dipendenze patologiche dell’Ausl di Modena, che proprio durante le festività natalizie era alle prese con scatole e scatoloni per il suo imminente trasferimento in Piemonte, dove dal primo febbraio svolgerà il nuovo incarico di direttore della Psichiatria nella Asl Torino 5 piemontese.

Chi è?

Dopo quindici anni, lo psichiatra napoletano saluta Modena per una nuova avventura lavorativa, lasciandosi alle spalle importanti progetti come lo Iesa, Figli in penombra, il Budget di Salute e Màt. Starace, inoltre, è presidente della Siep (Società italiana di Epidemiologia Psichiatrica) dal 2016 e nel 2019 è stato nominato membro del Consiglio superiore di sanità. Dal 2020 ha fatto parte del Comitato di esperti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per pianificare l’uscita dall’emergenza pandemica, ma il riconoscimento più alto lo ha ottenuto l’anno successivo, quando il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, gli ha conferito l’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Dottor Starace, come si sente a lasciare Modena e che legame ha con la città?

«Il mio legame con Modena – spiega – è molto profondo e so che la distanza non lo allenterà. Qui ho potuto portare avanti progetti e iniziative che, se fossi stato in qualsiasi altra parte d’Italia, mi ci sarebbero volute due vite. I modenesi, poi, sono stati sempre molto cordiali nei miei confronti. Sono una persona riservata, ma non dimenticherò mai il calore e l’accoglienza che ho ricevuto».

Da quando è arrivato in Emilia-Romagna ha ricevuto tanti riconoscimenti e ottenuto importanti incarichi lavorativi.

«Ho deciso di trasferirmi a Modena proprio perché la ritenevo il contesto ideale per lavorare bene e portare avanti progetti e programmi per me fondamentali. In questo territorio ho sempre trovato una grande partecipazione dei cittadini per la cosiddetta “cosa pubblica”, un’attenzione particolare a non lasciare indietro nessuno e l’impegno per le persone in condizioni di svantaggio. In questi anni ho dato tanto senza mai risparmiarmi, ma ho anche ricevuto moltissimo».

C’è un progetto a cui è particolarmente legato?

«Sicuramente Màt. È un’iniziativa nata da un gruppo di inguaribili sognatori che quindici anni fa cominciarono a ragionare su cosa fare per combattere lo stigma della malattia mentale. Noto con piacere che, da qualche tempo, il modello Màt è stato riprodotto in altre città italiane. A Modena continuerà senza di me, ma sarà l’occasione perfetta per fare ritorno e vederci più spesso».

Ha qualche rammarico per questi anni?

«Solo uno: qualche anno fa l’Azienda propose all’Università di istituire – senza incrementi di spesa – la posizione di professore straordinario con l’obiettivo di trasferire pratiche concrete nella didattica psichiatrica. L’Università non accettò, forse perché considerava questa opportunità come un’intollerabile ingerenza nei propri rigidi assetti baronali. Credo sia stata un’occasione persa per innovare la funzione formativa universitaria, in linea con quanto avviene da decenni a livello internazionale».

In Italia di salute mentale si parla ancora troppo poco?

«Al contrario. Con gli anni il dibattito si è molto allargato e oggi è un tema discusso. Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il mare. Nei fatti, cioè investimenti e programmazione, l’Italia è ancora piuttosto indietro. In Europa siamo tra gli ultimi in tema di finanziamenti e, paragonando i dati dall’epoca pre-Covid a oggi, possiamo notare dei tagli netti. Un paradosso, se pensiamo che dalla pandemia gli investimenti su programmi e personale sarebbero dovuti aumentare, visti gli effetti psicologici che l'emergenza sanitaria ha avuto sulle persone».

Negli ultimi anni, i disturbi mentali sono aumentati?

«Sicuramente c’è stato un incremento dettato dagli effetti delle crisi multiple a cui è esposta la popolazione. Negli ultimi quindici anni abbiamo avuto una crisi finanziaria, un terremoto nella nostra Provincia, il Covid, le crisi belliche e le emergenze climatiche, come le alluvioni. Sono situazioni molto stressanti che impattano sulla salute mentale delle persone, incrementando disturbi depressivi, ansiosi e comportamenti a rischio da parte di adolescenti e giovani adulti. Ed è qui il problema: i disturbi mentali sono aumentati, ma gli investimenti non sono stati al passo e, anzi, sono diminuiti».

C’è un episodio nella sua vita lavorativa che ricorda bene?

«Sì, riguarda un mio paziente, un ragazzo che all’epoca aveva comportamenti distruttivi e violenti, una situazione davvero difficile. Dopo dieci anni di lavoro e impegno, la madre venne da noi e con le lacrime agli occhi ci ringraziò personalmente. Il ragazzo, infatti, aveva appena conseguito un titolo di studio e stava cercando un lavoro. Per me – conclude il dottor Starace – è stata una soddisfazione immensa».l