Baldelli va in pensione: è stato tra i primi tecnici laser in Italia e insieme al dottor Nizzola ha rivoluzionato l’oculistica
Colonna del Poliambulatorio chirurgico modenese (Pcm), compirà 82 anni nell’aprile del prossimo anno: «Sento emozioni contrastanti, ma chi mi sostituirà farà molto bene. Ora mi dedicherò alla scrittura, anche in dialetto, e a mio nipote Chicco»
MODENA. È stato il primo («uno dei primi», ci tiene a puntualizzare con modestia) tecnico laser in Italia e ha lavorato per quasi venticinque anni nel Poliambulatorio chirurgico modenese (Pcm in sigla). Ora, per Sergio Baldelli è arrivato il momento di andare in pensione.
Ottantadue anni nell’aprile del prossimo anno, insieme al dottor Guido Maria Nizzola ha contribuito a rivoluzionare l’oculistica italiana negli anni Novanta grazie alla nuova tecnologia laser, capace di asportare micro-strati di tessuto corneale con estrema precisione.
Baldelli, a fine anno andrà in pensione. Come si sente?
«Sento emozioni contrastanti: è la fine di un percorso e l’inizio di un altro. Ho passato gli ultimi quattro anni a formare il mio sostituto, Giuseppe, e so che farà molto bene. È un professionista capace e preciso, sono contento di lasciare a lui la mia eredità. Me ne vado sereno».
Ha già pensato a cosa farà dopo?
«Una delle mie passioni è scrivere, sia in dialetto modenese che in italiano, e credo che passerò molto tempo con la penna in mano. L’impegno più grande, però, sarà prendermi cura di mio nipote Chicco, che sta per compiere quattro anni».
Torniamo al passato. Com’è arrivato al Pcm?
«Grazie al dottor Nizzola. Negli anni Novanta avevo uno studio di fotografia e grafica pubblicitaria e all’epoca lui stava studiando una tecnica per operare senza l’utilizzo del bisturi. Ricordo che veniva nel mio studio, mi spiegava cosa voleva realizzare e io replicavo la tecnica a computer. Quando finalmente ha trovato la quadra, mi ha chiesto se volessi lavorare con lui».
E lei?
«Non ci ho pensato due volte: era un’occasione unica e molto stimolante. Mi ha spedito in Giappone per seguire un corso di specializzazione all’avanguardia e dopo un mese sono tornato, pronto per lavorare».
Come reagivano i pazienti davanti a questa tecnica innovativa?
«Erano un po’ spaventati, come lo sono tuttora. Un intervento agli occhi mette le persone in apprensione. In questi ultimi mesi, visto che Giuseppe acquisiva sempre più autonomia, il mio lavoro si è concentrato di più sulla parte emotiva della procedura. Quindi mi sono occupato di rasserenare i pazienti arrivando in sala, ad esempio, con una battuta. Ha funzionato spesso».
Le persone devono aver avuto molta fiducia in lei.
«Sì, ed è stata una delle componenti che più ho apprezzato del mio lavoro. Oggi la tecnologia è incredibile e, dopo aver calibrato l’attrezzatura, non c’è più possibilità di errore. Negli anni Duemila, invece, era tutto più manuale e io, tenendo le macchine in perfetta efficienza, avevo un ruolo fondamentale per la buona riuscita di un intervento, comunque sempre eseguito da un chirurgo».
Com’è stato lavorare al fianco del dotto Nizzola?
«Bellissimo. Lui è un grande, una persona squisita. Gli sono grato per queste nozze d’argento con il Pcm».
Che consigli sente di dare alle nuove generazioni di tecnici laser?
«I giovani sono bravissimi, ma tendono a specializzarsi in un settore specifico senza andare oltre. In questo lavoro è necessario sapere di tutto un po’: elettronica, meccanica e ottica. Studiare non è sufficiente, serve quella curiosità in più e un lungo periodo di apprendistato».
Sono i suoi ultimi giorni di lavoro. Ha un episodio particolare che le ha lasciato qualcosa?
«Una volta, al termine di un intervento, una ragazza si alzò dal lettino piangendo e ci chiese se potessimo chiamare il padre in sala. Per spiegarsi ci disse: “Quando sono nata lui non era presente, ma ora mi sento come se fossi nata una seconda volta e mi piacerebbe ci fosse anche lui”. Le sue parole mi hanno molto commosso».
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