Gazzetta di Modena

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L’intervista

Due anni fa l’omicidio di Alice Neri, il fratello: «Darei la mia vita per rivederla»

di Daniele Montanari

	Alice insieme a suo fratello Matteo
Alice insieme a suo fratello Matteo

Il dolore di Matteo Marzoli, nel secondo anniversario dell’uccisione della sorella: «È sempre la stessa sofferenza. Ora giustizia: è l’unico modo per onorarla»

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MODENA. Oggi è il secondo anniversario della morte di Alice Neri, la 32enne di Ravarino trovata carbonizzata nel baule della sua auto la sera del 18 novembre 2022, nelle campagne di Fossa di Concordia.

Di lei si sta dicendo – e scrivendo – tanto nel processo che vede come unico imputato l’oggi 31enne tunisino Mohamed Gaaloul, accusato di omicidio aggravato, violenza sessuale e distruzione di cadavere. Ma a volte in tutto questo turbinio di parole si dimentica un po’ la sofferenza di quella perdita per la famiglia. Emerge tutta nelle parole di Matteo Marzoli, fratello di Alice, per il quale è come se non fosse trascorso un giorno da allora.

Matteo, come vive e come vivete a casa questo secondo anniversario?

«Non in modo diverso dagli altri giorni. L’anniversario non c’entra, è sempre quella stessa sofferenza tutti i giorni dell’anno. Alice non c’è più, e mi manca tremendamente. È come se mi avessero strappato il pezzo più grande del mio cuore. Non ero pronto e non sono tuttora pronto per questo: ho sempre pensato che nel ciclo naturale della vita, visto che sono 11 anni più grande, sarei stato io ad andarmene per primo, non lei. Se potessi, farei il cambio: darei volentieri la mia vita se servisse a riavere quella di Alice. Ma purtroppo non è così».

Una sofferenza che il tempo non può scalfire...

«No, è così adesso e sarà così sempre. Nella consapevolezza profonda che Alice era una ragazza meravigliosa, piena di vita. E una persona buona, che non ha mai fatto del male a nessuno».

Una sofferenza che aumenta nelle aule di tribunale? Lei e sua mamma siete sempre presenti, e ogni volta è un ripercorrere la tragedia...

«È molto doloroso stare in aula a sentire certe cose, questo sì. È una grande fatica interiore: la mamma ci mette sempre due o tre giorni per riprendersi. Ma è meno difficile che stare a casa: se rimanessimo a casa soffriremmo ancora di più, sapendo che si parla di Alice e noi non ci siamo. Venire in aula per noi è un po’ un essere vicini ad Alice, non potremmo non farlo. Poi c’è un altro aspetto fondamentale».

Quale?

«Il fatto che essere lì a processo come parte civile è un battersi per l’accertamento della verità. È una cosa che dobbiamo profondamente ad Alice, l’unica cosa che possiamo fare per lei adesso. Per lei, ma anche per le altre donne, per salvaguardare la vita di altre donne. Alice non ce la ridarà indietro nessuno, ma ci sono altre donne da proteggere. Alice vorrebbe questo, sono fermamente convinto che vorrebbe questo. E noi lo facciamo volentieri per lei: è il modo migliore per onorarla».

Come vede il dibattito in aula? Si sente ferito quando ci si focalizza così tanto sulla vita di Alice che sembra quasi diventare lei l’accusata?

«Questa è una cosa che va avanti da prima che iniziasse il processo, e si è riflessa in aula. Nelle udienze ci sono stati dei momenti in cui è sembrata lei l’imputata, lei sotto accusa. Lei che ci ha lasciato la vita. Noi ci teniamo a ricordare che Alice è la vittima, e l’imputato è un altro. Sempre quest’unica persona individuata dagli inquirenti: non c’è spazio per le favole».

Come vi sembra che sia procedendo la ricostruzione delle sue responsabilità in aula?

«Credo che, lasciando da parte la fantasia, tutte le prove convergano contro di lui. Ma non sta a me accusare: c’è chi lo sta già facendo molto bene in aula, e ringrazio per tutto il grande lavoro che hanno fatto, e stanno facendo, gli inquirenti. Un grazie anche ai nostri avvocati, Cosimo Zaccaria per la mamma e Marco Pellegrini per me, assieme a tutti i loro collaboratori: sono i nostri angeli, in questa triste storia».

Due anni dopo, Alice è ancora senza sepoltura, non potete portarle un fiore...

«Sì, ed è doloroso anche questo, perché sappiamo che ad Alice non piaceva stare sola. Ma siamo stati noi a dire alla presidente della Corte d’assise di trattenere la salma finché ce ne fosse bisogno. Non vogliamo correre il rischio di una riesumazione per chissà quali motivi: quando porteremo Alice a casa, vogliamo che sia per sempre».

La sente vicina lo stesso?

«Sì, al di là di dove sia la salma, io sono fermamente convinto che Alice lungo le giornate mi sia vicina. Non lo so, forse è perché bisogna aggrapparsi a qualcosa... Non so spiegare perché ho questa convinzione così forte, ma io credo davvero che Alice in qualche modo sia vicina ogni giorno a chi gli ha voluto bene. E che sia insieme a noi in tribunale».