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Trasporto pubblico in crisi, la resa di Seta sul futuro: non ci sono soldi per gli autisti dei bus

di Ginevramaria Bianchi
Trasporto pubblico in crisi, la resa di Seta sul futuro: non ci sono soldi per gli autisti dei bus

Il piano industriale non prevede investimenti per gli addetti. La rabbia dei sindaci e all’orizzonte Tper, che nessuno vuole

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MODENA. Il sindaco Massimo Mezzetti e tutto il resto delle istituzioni erano stati chiari e decisi: volevano un piano di rilancio da parte di Seta che fornisse risposte immediate e concrete, con un miglioramento tangibile del servizio e delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Andando nello specifico, volevano un’attenzione particolare al trattamento economico dei neo assunti e alla gestione delle relazioni sindacali, puntando sul miglioramento delle retribuzioni degli autisti, sempre più difficili da trattenere in azienda. Ma non sono stati ascoltati.

Il piano industriale senza risorse per gli autisti

Arrivato solo poche ore prima della seduta del Cda e del parallello meeting tra i soci, senza dare a questi ultimi il tempo necessario per esaminarlo adeguatamente, il piano industriale di rilancio proposto mercoledì 23 ottobre da Seta, per quanto in una versione preliminare, è parso quasi come un tentativo di scaricare la responsabilità su chi aveva formulato richieste chiare e legittime già da tempo. Richieste che, alla fine dei conti, non sono nemmeno state accontentate. Il piano presentato, infatti, si apriva già con un’ amara premessa: «Per i lavoratori non si può fare nulla». In altre parole, per gli autisti – che già vivono condizioni difficili e inique, con disparità di trattamento tra chi è stato assunto prima e dopo il 2012 – non sono previste né migliorie salariali né interventi concreti per arginare l’esodo in atto. Non ci sono le proposte, non ci sono le risorse e non c’è l’intenzione giusta per poter alzare i salari degli autisti che, da qualche anno a questa parte, non possono fare altro che correre ai ripari, scappando a gambe levate dalla società di trasporti. Si possono però permettere di proporre il rinnovamento della flotta con autobus iper-tecnologici, pur ignorando un aspetto non piccolo: la mancanza di autisti.

La sofferenza del servizio di trasporto pubblico

Il servizio, infatti, soffre pesantemente nei bacini di Modena e Reggio Emilia, dove la carenza di personale è ormai cronica, e il piano non offre – e non ha intenzione di offrire – risposte adeguate su come risolvere questa emergenza. Invece di affrontare il tema, questo piano si concentra su interventi marginali, come il miglioramento dell’esperienza di viaggio o la facilitazione dei sistemi di pagamento per gli utenti. Soluzioni che appaiono del tutto scollegate dalla realtà di un servizio che ogni giorno, come abbiamo riportato sulle pagine della Gazzetta diverse volte, deve fare i conti con pendolari esasperati, autobus sovraffollati e una gestione sempre più problematica. Particolarmente grave, poi, è stata l’assenza di proposte concrete per armonizzare le condizioni contrattuali tra i dipendenti assunti prima e dopo il 2012.

Le cause dell’emorragia di personale

La disparità di trattamento economico e il regime di turni spezzati che costringono gli autisti a condizioni lavorative estenuanti, sono tra le principali cause dell’emorragia di personale, oltre agli stipendi da fame. Nonostante questo, nel piano di Seta è stato deciso di ignorare questo punto cruciale trincerandosi dietro alla tenuta del bilancio e, anche l’unico strumento realmente attrattivo – l’Academy, che consente agli aspiranti autisti di ottenere la patente speciale a spese dell’azienda – si sta rivelando inefficace nel lungo termine. Molti autisti, una volta formati, decidono di lasciare comunque l’azienda, scoraggiati da un ambiente di lavoro poco incentivante.

Gli investimenti contraddittori

Dal punto di vista economico, la situazione di Seta appare contraddittoria. Mentre si continuano a fare investimenti per l’acquisto di nuovi autobus – con oltre 4 milioni di euro spesi nel 2023non vengono trovate le risorse necessarie per migliorare le condizioni dei dipendenti. Secondo i calcoli, per armonizzare i contratti dei lavoratori del bacino di Modena, sarebbe necessario un investimento di circa 2 milioni di euro, una cifra che Seta continua a ritenere insostenibile. Nel frattempo, però, l’azienda continua a pagare migliaia di ore di straordinari (79.151, con un +12% di ferie non godute. Dati: bilancio del 2023), aggravando una situazione che – forse – sarebbe più facilmente risolvibile con una riorganizzazione delle risorse interne. Non sorprende, dunque, l’irritazione e la preoccupazione tra i soci, che guardano con diffidenza al colosso Tper, che dovrebbe inglobare Seta. Dopotutto, il sindaco Mezzetti era stato chiaro anche alla festa dell’Unità a settembre: «Non entreremo in Tper finché tutti i problemi di Seta non saranno risolti», aveva sentenziato in un incontro pubblico, attaccando pesantemente l’amministratore delegato Riccardo Roat.

L’ipotesi della fusione con Tper

Un modello alternativo, guardato con interesse, è sicuramente quello di Parma, con la società di trasporti Tep che si occupa esclusivamente del territorio Ducale. Modello di cui tanti tra gli addetti ai lavori parlano da tempo, come punto di riferimento. Tuttavia, il piano presentato da Seta lascia trasparire la volontà di procedere verso la fusione con Tper e di essere annessi da Bologna, perdendo ulteriore peso specifico e decisionale. In questo scenario, dove il dialogo tra l’azienda e le istituzioni appare compromesso e le soluzioni concrete sembrano lontane, la crisi di Seta si fa sempre più profonda. E mentre la dirigenza ignora i problemi, la vita reale continua: pendolari sempre più esasperati perdono le corse o le prendono in ritardo, bloccati in un sistema che non ascolta le loro esigenze né quelle di chi ogni giorno porta avanti, con fatica, il trasporto pubblico.

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