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Il caso

Alveo del fiume Panaro ristretto dai lavori: è subito frana alla prima piena

di Daniele Montanari
Alveo del fiume Panaro ristretto dai lavori: è subito frana alla prima piena

Iniziato a giugno, l’intervento doveva rendere sicura la Fondovalle

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MODENA. Una frana e un pericolo grave sulla strada nello stesso punto, a distanza di tre mesi. Nonostante un’estate di lavori, tuttora in corso, contro il dissesto.

Sta facendo discutere l’emergenza che si è creata mercoledì sulla Fondovalle Panaro Sp4 nel tratto di Pavullo all’altezza dei “Grottoni”, località che dice già tutto col nome: è storicamente segnata dalla presenza di un ampio versante franoso. Tanto che è diventata celebre l’immagine di alcuni bimbi che, sempre in questo tratto, nel 1959 attraversano il fiume con la teleferica per andare a scuola a Marano, dopo il cedimento del passaggio. Sempre qui il 24 giugno scorso sassi e fango da monte ostruirono completamente la carreggiata, interrompendo la circolazione.

I lavori sul fiume
Un punto dunque critico, su cui va messo in atto un intervento risolutivo, per quanto complesso. Qui infatti c’è anche, a valle, la sponda del Panaro che erode, mettendo la carreggiata a rischio sprofondamento. Per scongiurarlo, a giugno è partito un maxi intervento sul letto del fiume che ne ha deviato il corso, con l’obiettivo di realizzare un consolidamento durevole della sponda che sostiene la strada.

Ma mercoledì è stato proprio il lato interessato dai lavori a cedere: il fiume ha eroso la sponda arrivando a lambire la carreggiata, che si è dovuta chiudere in una corsia. La cosa sta alimentando una certa perplessità tra gli utenti della strada, che si chiedono se sia stato opportuno, per fare i lavori, restringere il letto del fiume con una canalizzazione che non ha retto alla prima piena.

Le perplessità
A fare alcune osservazioni specifiche è il fananese Stefano Torreggiani, che passa da una vita di lì, e conosce bene il fiume: «Non sono certo un tecnico, il mio sguardo è solo legato all’esperienza e al buonsenso – premette – ma non posso non restare perplesso a vedere che da giugno è stata fatta una canalizzazione che ha ridotto in curva, e quindi in un tratto in cui la corrente è più veloce, l’alveo del fiume dai 200 metri naturali a pochi metri. Costruendo un argine in pietre e sassi semplicemente spostando la ghiaia del fiume. Alle spalle hanno posizionato dei massi enormi creando un canale di pochi metri. Lo sanno anche i bambini che se si costringe in pochi metri, circa una ventina, forse meno, un fiume che in quel punto ha un alveo molto ampio, alla prima piena l'acqua compressa in pochissimi metri del canale assume una forza 100, 1000 volte superiore. Era ovvio che alla prima piena l’acqua avrebbe ripreso i suoi spazi erodendo la sponda. Con una normalissima piena, il fiume ha ripreso il suo percorso naturale. Mi chiedo come mai sia stato autorizzato l’intervento in questi termini. Io credo, lo ripeto non da tecnico ma da osservatore del territorio, che bisognasse piuttosto posizionare a monte gabbioni trasversali al fiume ad angoli variabili, in modo da rallentare la corrente in modo dolce, permettendo i lavori. Non certo canalizzare in curva dove l’acqua prende velocità».

Il problema
Ma il problema sono anche i tempi con cui sono stati svolti i lavori, tuttora non finiti: «Dopo il disastro di giugno, sono ancora lì. Un intervento importante come questo andava fatto in un mese, sfruttando la siccità estiva. Invece è andato a rilento: i sassoni sono fermi da più di un mese, da settimane non si vede una ruspa, solo gente su ponte.

Il problema adesso è che rifaranno l’intervento in modo identico, mentre ci addentriamo nell’autunno. Se è successo questo con un terreno che veniva dall’estate, e che quindi assorbiva ancora acqua, cosa succederà quando sarà tutto imbevuto di pioggia?».l