Violenza negli ospedali, dati choc: a Modena tre casi a settimana
Cifre in costante crescita, le più colpite sono le donne
Dal 2019 al 2024, sono stati calcolati ben 869 episodi di violenza tra i reparti degli ospedali della provincia di Modena, di cui 133 nei primi sei mesi del 2024: tre a settimana. E durante questo arco temporale di sei anni, sono stati coinvolti 1.131 operatori sanitari.
Paura delle aggressioni
Di fronte a questi numeri, se chiedessimo oggi a un operatore sanitario qual è la sensazione più comune che lo accompagna quando mette piede sul posto di lavoro, molto probabilmente arriverebbe a rispondere che ha paura. Sì, metterebbe la paura davanti alla preoccupazione per le difficoltà del mestiere o alle sfide sanitarie sempre più complesse, e manifesterebbe un timore concreto, tangibile, di essere aggredito.
Questo perché negli ospedali italiani, ormai, è consuetudine mettersi al riparo dagli scatti d’ira dei pazienti, e sembra legittimo, d’altra parte, prendersela con un infermiere se è da troppe ore che si è seduti in sala d’attesa. Il recente episodio di Foggia, dove i medici si sono dovuti barricare in una stanza per salvarsi dai tentativi di aggressioni, fisiche e verbali, dei parenti di una ragazza deceduta poco prima durante un intervento chirurgico, non è un caso isolato. Anzi, rappresenta il culmine di un fenomeno che sta crescendo in modo esponenziale e che denuncia la crisi profonda in cui versa il nostro sistema sanitario.
«I picchi nel post Covid»
Gennaro Ferrara, sindacalista leader della Cisl Fp Emilia Centrale e infermiere, non ha dubbi: «Uno dei motivi per cui si sfocia sempre di più nella violenza tra i reparti, è perché c’è un bisogno smisurato di essere assistiti, ma le risorse per assecondare tutte le richieste non ci sono. E allora la pazienza dei cittadini si esaurisce, e si tocca la dimensione dell'inciviltà. Abbiamo riscontrato dei dati importanti e preoccupanti attraverso le nostre indagini – prosegue Ferrara analizzando i numeri delle aggressioni – Sicuramente dai numeri che sono venuti fuori è stato chiaro che la pandemia abbia innescato una spirale di disagio e insoddisfazione che ha trasformato le corsie ospedaliere in luoghi di tensione. I picchi massimi di violenza, per ora, si sono presentati infatti nell’era post Covid. Il 2023 ha contato in tutta la provincia 207 episodi di aggressioni. Vedremo, arrivando alla fine del 2024, se supereremo ancora questo dato. Al momento, anche solo contando questi primi mesi, direi che la situazione sia alquanto preoccupante, seppur parziale. C’è da fare i conti, infatti, con il fatto che non tutte le vittime hanno il coraggio di denunciare – continua il sindacalista – Gli operatori sanitari si sono arresi. Sappiamo che diverse vittime di aggressioni hanno preferito non segnalare più gli episodi di violenza, perché ormai convinti anche loro che non ci sia una soluzione, e che anzi sia quasi normale tutto ciò».
Due vittime su tre sono donne
Insomma, è evidente che i lunghi mesi di lockdown, i limiti agli orari di visita per i parenti, e i tempi di attesa che si sono dilatati a dismisura, abbiano creato un clima di rabbia e frustrazione, che è spesso ricaduto a scapito di chi sta in prima linea. Tra tutti, la categoria più colpita sembra essere quella degli infermieri, i primi a prendere il paziente tra le mani e a dover gestire, spesso, anche le preoccupazioni dei cari che lo accompagnano.
«In questi sei anni – riprende Ferrara – su 869 episodi di violenza, ben 660 hanno coinvolto direttamente gli infermieri, a fronte di 179 medici. Gli Oss sono stati colpiti in 69 episodi, e i tecnici della riabilitazione psichiatrica in 23. Ed è importante sottolineare, a parer mio, che tra tutte queste categorie, il 68% delle vittime erano donne».
In questo trend spaventoso, che descrive un mondo ospedaliero dove chi si occupa della salute altrui mette a rischio la sua, è facile notare che i problemi più grandi arrivano dai reparti psichiatrici, dove il contesto è di per sé complesso e il rischio di aggressioni è altissimo: «Qui il personale è completamente esposto – racconta Ferrara – Quando lavoravo come infermiere all’ospedale psichiatrico giudiziario ho visto anch’io episodi di violenza, ma almeno all’epoca c’era la vigilanza di polizia penitenziaria tra i reparti. Ora non più. Lasciare in balia delle violenza il personale delle strutture ad alta complessità come gli Spdc (Servizio psichiatrico diagnosi e cura), significa rendere molto difficile il reclutamento di nuovi professionisti. Un problema che rischia di esplodere se mischiato con il turn over per la pensione delle figure già in servizio: a Carpi, entro l’inverno, due psichiatri si ritireranno. Al Csm di Sassuolo è già in vigore una riduzione di orario perché mancano gli psichiatri. In linea più generale, i cittadini devono comprendere che nessuno è disposto a prendere pugni e sputi per portare a casa uno stipendio, peraltro non adeguato».
«Serve più personale»
La Regione, in tutto ciò, per risolvere la situazione parla di ridurre i tempi di visita: «Ma non è questo ciò che serve – sentenzia Ferrara – Per ridurre i tempi di attesa, come dicono, bisognerebbe coprire l’assenza cronica di personale, specialmente in certi settori come l’oculistica o la dermatologia. Ma in tutto ciò servirebbe anche maggiore formazione per l’autotutela, un programma di supporto psicologico più esteso per chi lavora in prima linea e, soprattutto, del ripristino dei presidi di polizia a tutte le ore nei pronto soccorso. Altrimenti, le conseguenze saranno sempre più tragiche. Avremo meno professionisti all’appello, sempre più episodi di violenza, e la fiducia nel sistema ormai più compromessa».
Per quanto potrà reggere questa situazione? Per quanto tempo ancora i nostri professionisti, quelli che fino a qualche anno fa erano gli eroi della pandemia, dovranno nascondersi tra i reparti dell'ospedale barricandosi negli uffici? E quando saranno terminati i mobili con cui chiudersi a forza nelle stanze, come proseguirà il gioco? Ecco, forse sarà quello il momento del game over.
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