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Scuola, altolà alle chat di classe dei genitori su Whatsapp: «Vanno bandite»

di Stefano Luppi
Scuola, altolà alle chat di classe dei genitori su Whatsapp: «Vanno bandite»

Alessia Cadamuro, docente dell'Università di Modena e Reggio Emilia: «Modello negativo, mamme e papà si “sostituiscono” ai figli e così li danneggiano»

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MODENA. Le chat in ambito scolastico? Sarebbero da bandire: le linee guida ministeriali dicono di togliere gli smartphone almeno agli alunni più piccoli, e va bene, ma gli strumenti di comunicazione andrebbero limitati anche ai genitori. Questi litigano e mostrano un modello sbagliato che poi i figli-alunni inesorabilmente apprendono, spostando al domani il problema di oggi».
La professoressa Alessia Cadamuro, docente associato di neuroscienze e di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’ateneo di Modena e Reggio, sviscera una serie di problematiche relative a chat di classe, rapporti tra genitori figli docenti, progetti di ambito psicologico sempre più richiesti.

Prof, si nota sempre maggior rissosità soprattutto tra genitori che difendono strenuamente i figli. Che accade?

«Noi docenti proponiamo progetti nelle scuole e siamo a contatto con tale mondo e ciò ci permette di notare come sia cresciuto in modo esponenziale il disagio dei ragazzi. Certo, la pandemia del covid ha inciso molto, ma notiamo tanto anche l’abbandono della autorevolezza del ruolo degli insegnanti. Ciò genera molti problemi».

Può spiegare meglio?

«Dicevamo delle chat scolastiche dove passa, tra genitori, un modello litigioso che poi i figli ripetono visto che le giovani generazioni apprendono soprattutto per imitazione. Certo, non nego che le chat abbiano grandi potenzialità per trasmettere a tutti la medesima informazione, ma un conto sono due persone che si scontrano dal vivo un conto è farlo virtualmente davanti a una platea».

Da ciò cosa deriva?

«Le ho detto del modello che poi investe i più giovani che a loro volta ripetono nelle loro di chat, tra amici e conoscenti tale modello. C’è poi un altro ordine di problemi relativi alla deresponsabilizzazione esagerata dei genitori nei confronti dei propri figli. Gli fanno la cartella, magari i compiti e quindi da questi atti secondo lei che persone mature usciranno in futuro? Se i genitori considerano sempre bambini piccoli i loro figli questi non impareranno mai dai loro errori lungo il percorso di crescita. È un aspetto fondamentale dal punto di vista psicologico e infatti le persone delle giovani generazioni mediamente crescono ansiose perché terrorizzate dallo sbaglio. L’errore psicologicamente diviene intollerabile, insopportabile, mentre è una pratica educativa perché tutti impariamo dagli errori».

Una volta c’era più senso di autorevolezza, i genitori non erano amici dei figli. Ora che accade?

«Neanche ora, secondo me, accade questo. Io penso piuttosto che i genitori vogliano sostituire i figli, non vogliono più il ruolo di loro guida e così divengono sempre più infantili. Ma in termini di autorevolezza c’è un altro problema».

Quale?

«Quella dell’insegnante. Tale autorevolezza una volta era riconosciuta dalle famiglie perché si considerava la maestra o la prof per le competenze educative che sviluppava. Oggi i genitori vogliono discutere delle pratiche educative con le scuole e dei genitori si rifiutano di partecipare a progetti tra Unimore e gli istituti dei loro figli».

Sempre più minorenni sono seguiti da psicologi e psichiatri, che ne pensa?

«Aumenta la richiesta proprio perché sempre più ragazzi vivono forti disagi. È vero che c’è maggior libertà nella richiesta dei servizi psicologici, ma essi sono ancora vissuti come una vergogna: è come ammettere di essere ammalati. Così gli sportelli psicologici diffusi nelle scuole sono frequentati più che altro dagli insegnanti. Per gli alunni che i social vogliono sempre dalla vita perfetta anche perché così li vogliono anche i loro genitori lo stigma sarebbe troppo forte da sopportare. Tutti vogliono un figlio performante».
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