Colpita a 77 anni dal virus West Nile: «Mia madre lotta per la vita»
Dall'ospedale di Baggiovara la modenese Cristina Cavana racconta le settimane di sofferenza della mamma Franca: «Ci sono volute settimane per capire che cosa avesse»
MODENA. Franca è vigile, cosciente, ma troppo debole per affrontare la malattia che l’ha colpita in modo così inaspettato. La sua mente è lucida, ma il corpo non risponde come dovrebbe.
In una delle stanze dell’ospedale di Baggiovara, la modenese Cristina Cavana osserva la madre 77enne, Franca Costanzini, combattuta tra la coscienza e un corpo debilitato. È il virus West Nile che la sta consumando, un nemico invisibile trasmesso da una semplice zanzara. Un’infezione che ha inevitabilmente trasformato la vita di questa famiglia, e di tante altre, in un incubo quotidiano, fatto di incertezze, attese e paure.
«Si addormenta spesso, anche mentre parla – racconta la figlia – ma è cosciente. Ed è questa la cosa più brutta. Lei capisce tutto e si chiede continuamente come sia possibile che abbia contratto questa malattia, di cui però non sa nemmeno il nome».
La famiglia infatti ha deciso di non rivelarle la verità sulla gravità del suo stato: «Siamo stati sul generico, non volevamo destabilizzarla troppo – racconta Cavana – Le abbiamo detto solo che ha preso un virus, e che i medici stanno facendo il possibile per curarla. Anche perché al momento, non essendoci una terapia specifica da seguire, questo è tutto ciò che sappiamo. Ora viviamo alla giornata».
La famiglia è infatti convinta che la consapevolezza di avere contratto il virus della West Nile avrebbe potuto alterare ulteriormente la sua situazione psicologica. Ma la verità è difficile da nascondere, soprattutto quando i dolorosi sintomi peggiorano giorno dopo giorno. Febbre altissima, mal di testa insopportabili e una debolezza che rende ogni gesto quotidiano una sfida. E la cosa peggiore è che per diverso tempo nessuno ha saputo dare una definizione, un’etichetta, a questa patologia, che pian piano logorava la settantasettenne.
«Il percorso verso la diagnosi è stato lungo e tortuoso – riporta la figlia – Mia madre è stata ricoverata solo dopo settimane di sofferenza. Inizialmente, i medici avevano attribuito i suoi sintomi ad altre infezioni, trascurando l’ipotesi del virus della West Nile. Solo dopo ulteriori indagini, il risultato positivo è arrivato come una sentenza domenica scorsa. Da lì in poi, per tutta la famiglia è iniziato un calvario fatto di notti insonni, di speranze disilluse e di una costante impotenza. Ma almeno da quel momento avevamo un nome con cui definire questo male».
È iniziato dunque così il ricovero di Franca Costanzini, doloroso e lento.
«Stava malissimo e non potevamo fare niente – racconta ancora visibilmente provata la figlia – Stare lì ferma a guardare e non poter fare nulla è la sensazione peggiore. Due giorni fa non sono riuscita a stare con lei per più di venti minuti a causa del dispiacere che provavo. Ho aspettato che si addormentasse e poi me ne sono andata via. Non ce l’ho fatta».
Sono parole dure quelle di Cristina Cavana, e riflettono un dramma che va oltre la singola esperienza familiare, perché il virus West Nile non è più una questione da sottovalutare.
«È una situazione più grave di quello che sembra all’occhio dei più – avverte Cavana – Per ora non esiste una terapia specifica: il virus deve fare il suo corso, e i medici possono solo alleviare i sintomi con antidolorifici e Tachipirina. Pare sia il fato a decidere il tasso di mortalità della patologia in base a diversi fattori, tra cui sicuramente l’età ha un’influenza importante. Posso dire però con certezza – continua – che il virus West Nile non è più un problema solo degli anziani. Ho conosciuto personalmente un sacco di giovani che l’avevano contratto. So che i medici stanno facendo il possibile, lo vedo con i miei stessi occhi. Mia madre all’ospedale di Baggiovara si sta trovando molto bene, e i dottori fanno il massimo per la sua salute. Ma proprio perché questa è una questione seria e diffusa, ormai, mi chiedo perché non si facciano più disinfestazioni massicce come un tempo – sentenzia – Perché una volta la situazione era migliore e non se ne sentiva così tanto parlare? – incalza – Perché non si sono ancora studiati percorsi di terapia ad hoc?».
Sono queste le domande che si pone Cavana guardando la madre che lotta in un letto di ospedale. E risuonano come un grido di aiuto, un appello a una maggiore tutela per tutta la cittadinanza, affinché nessun altro debba più chiedersi «perché è capitato proprio a me?».l
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