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Tumori del sangue, la scoperta dei ricercatori dell'Università di Modena e Reggio

Tumori del sangue, la scoperta dei ricercatori dell'Università di Modena e Reggio

Una ricerca del Centro di medicina rigenerativa ha identificato una mutazione di Dna. Il legame con neoplasie ematologiche identificato in uno studio sostenuto da Airc

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MODENA. Una nuova alterazione del DNA, responsabile di una forma più severa di neoplasia mieloproliferativa, è stata scoperta da un gruppo di ricercatrici e ricercatori del Centro Interdipartimentale di Cellule Staminali e Medicina Rigenerativa (CIDSTEM) di Unimore. La ricerca è stata coordinata dalla professoressa Rossella Manfredini del Dipartimento di Scienze Biomediche Metaboliche e Neuroscienze dell’Ateneo. I risultati dello studio, sostenuto da Fondazione AIRC, sono emersi nell’ambito del programma “5 per mille” MYNERVA coordinato dal professor Alessandro Vannucchi. I dati sono stati pubblicati su Leukemia, un’importante rivista ematologica internazionale appartenente al gruppo Nature.

Le neoplasie mieloproliferative sono tumori che colpiscono le cellule staminali del sangue, per le quali non esiste a oggi una cura definitiva. Tra queste patologie sono compresi diversi tumori ematologici, come Policitemia Vera, Trombocitemia Essenziale e Mielofibrosi Primaria. La loro patogenesi è caratterizzata dall’acquisizione di diverse mutazioni, tra cui la più frequente colpisce il gene JAK2. Recentemente sono aumentate le evidenze che dimostrano come un’analisi approfondita dell’assetto genetico dei pazienti sia fondamentale per identificare meccanismi molecolari specifici di sviluppo e progressione della malattia.

I ricercatori e le ricercatrici del Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” di Unimore, hanno così identificato una categoria di pazienti affetti da Neoplasie Mieloproliferative, il cui profilo genetico è caratterizzato dalla compresenza della mutazione del gene JAK2 e dall’amplificazione del cromosoma 9, su cui il gene JAK2 è localizzato.

I risultati ottenuti hanno permesso di dimostrare che la seconda anomalia, di tipo citogenetico, ha un effetto negativo sull’attivazione del sistema immunitario contro la popolazione di cellule tumorali. Inoltre, stimola la proliferazione e la persistenza delle cellule staminali emopoietiche neoplastiche, da cui origina e si propaga la neoplasia.

«Lo studio approfondito del genoma di questi pazienti – spiega la professoressa Rossella Manfredini, responsabile del programma di Genomica e Trascrittomica del Centro di Medicina Rigenerativa di Unimore – ci ha inizialmente permesso di individuare un sottogruppo di pazienti affetti da mielofibrosi. La malattia è in questi casi caratterizzata non solo dalla mutazione del gene JAK2, ma anche dall'amplificazione dello stesso gene, che è per questo presente in molteplici copie. Approfondendo ulteriormente le indagini molecolari, abbiamo scoperto che l'amplificazione genica coinvolge non solo il gene JAK2, ma l'intero braccio corto del cromosoma 9».

«Abbiamo svolto studi molto complessi sui campioni ottenuti dai pazienti, tra cui l'analisi genomica a singola cellula e la genotipizzazione di colonie derivanti dalle cellule staminali emopoietiche. Abbiamo così dimostrato che, durante l’evoluzione della malattia, l'acquisizione della mutazione del gene JAK2 precede l'amplificazione del cromosoma 9. In particolare, l'assetto genomico prevalente che abbiamo identificato nelle cellule di questi pazienti è caratterizzato dalla presenza di tre copie del gene JAK2, di cui due mutate», afferma la dott.ssa Chiara Carretta, coautrice dell’articolo.

«Considerando gli altri geni localizzati sul cromosoma 9, abbiamo osservato che l'espressione del gene PD-L1 è aumentata nei pazienti con amplificazione del cromosoma 9 rispetto a coloro che presentano la mutazione di JAK2 in assenza dell’anomalia cromosomica aggiuntiva. La proteina codificata dal gene PD-L1 è coinvolta nell’inibizione della risposta immunitaria, un meccanismo comune nei tumori».