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Morì a 18 anni nello schianto del Flixbus sull’A1: odissea per il funerale

Morì a 18 anni nello schianto del Flixbus sull’A1: odissea per il funerale

Più di 5 mesi dopo l’incidente in autostrada tra Modena Sud e Valsamoggia, sabato 31 agosto si celebrano le esequie del congolese Junior Kersaint. Padre e madre hanno dovuto aspettare fino ad ora per avere il visto dall’ambasciata

29 agosto 2024
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SAN CESARIO. A più di cinque mesi dalla tragedia, potranno finalmente essere celebrati i funerali di Junior Kersaint Vindou Illumine, il giovane di origini congolesi di appena 18 anni (ne avrebbe compiuti 19 il 3 maggio), studente all’Università per Stranieri di Perugia, dove risiedeva, incolpevole vittima della tremenda uscita di strada di un autobus della FlixBus nella notte tra il 24 e il 25 marzo scorsi sull’A1, nel territorio di San Cesario.

L’incidente

Terribile la dinamica dell’incidente, causato dalla perdita di controllo del mezzo da parte dell’autista. Il pullman ha urtato più volte il guardrail e un pezzo della barriera ha infranto il finestrino e colpito a morte il giovanissimo passeggero, che era seduto in uno dei primi posti sulle file davanti, una fine orrenda.

Il diciottenne, che frequentava il primo anno del corso di laurea in Comunicazione internazionale pubblicitaria ed era l’orgoglio della sua famiglia, stava rientrando nel capoluogo umbro dopo un viaggio in Francia per fare visita ad alcuni parenti assieme a tre giovani zie, rimaste a loro volta ferite, anche loro studentesse all’ateneo perugino e con le quali condivideva l’alloggio. Di qui dunque, data anche la grande vicinanza espressa dalla comunità studentesca e dalla città di Perugia, la volontà della famiglia di celebrare qui il funerale, che sarà sabato 31 agosto alle 9.30 nel cimitero monumentale, poi la salma sarà tumulata in un altro cimitero cittadino.

L’odissea burocratica

All’origine dell’enorme ritardo con cui si potrà dare l’estremo saluto allo sfortunato studente, l’autentica odissea burocratica vissuta dai suoi genitori per poter giungere in Italia, con particolare riferimento all’ambasciata italiana in Congo che ha sede a Brazzaville e dista oltre 500 km, nove ore di viaggio, da dove risiede la famiglia del ragazzo, a Point Noire. Il papà si era anche, e fin da subito, trasferito in un hotel di Brazzaville per seguire da vicino le pratiche pensando che avrebbero richiesto pochi giorni, invece ha presto dovuto rientrare nella sua città per continuare a lavorare a fronte delle innumerevoli lungaggini incontrate. E si è dunque affidato anche per questa impellente problematica a Studio3A-Valore spa, società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, alla quale tutti i congiunti della vittima, attraverso l’area manager per l’Umbria Matteo Cesarini, si sono rivolti per essere assistiti nel procedimento per l’incidente e per ottenere giustizia, così come le zie ferite.

Lo sfogo del padre

Ma nonostante Studio3A abbia fin da subito fatto presente l’urgenza e la particolarità della richiesta di visto, la possibilità di partecipare ai funerali di un figlio di soli 19 anni deceduto a causa di un incidente stradale, e abbia profuso ogni sforzo possibile sollecitandola a cadenza quasi giornaliera, «l’ambasciata ha gestito il caso come si trattasse di una istanza “normale” e anche peggio» lamenta il padre, Ghislain Blanchard Vindou, che finalmente questa settimana è potuto arrivare in Italia con la moglie e mamma di Junior Kersaint, Raphine Love Ofi, e due sorelle. «Hanno richiesto la polizza sanitaria – prosegue il padre – persino la fideiussione bancaria e poi, tre mesi dopo, quando la cosa sembrava risolta, hanno preteso anche una lettera di invito da parte di un cittadino congolese regolarmente residente in Italia. Il tutto in un contesto di comunicazioni quasi impossibili».

«In Italia abbiamo trovato tanto aiuto e sensibilità verso la nostra disgrazia, non così presso l’ambasciata italiana in Congo» prosegue il genitore, che tra le varie amarezze patite cita la più pesante: «Io e mia moglie non abbiamo potuto vedere nostro figlio per l’ultima volta: ormai la sua bara è chiusa e non si può riaprirla. C’è stata preclusa anche la possibilità di un ultimo sguardo, un’ultima carezza»