«La mia famiglia distrutta 30 anni fa sull’autostrada del Brennero»
Nel 1994 la moglie e i due figli piccoli di Marco Montanari, residenti a Verona, morirono in un incidente sull’A22 all’altezza di Campogalliano: un carpigiano tamponò la loro auto
VERONA. Marco ricorda tutto di quel giorno. Ogni istante, anche oggi, esattamente trent’anni dopo. Ricorda di aver cambiato i freni dell’auto di sua moglie Rosanna prima che lei partisse per le vacanze insieme ai loro due bimbi, Mattia di 12 anni e Andrea, di sette. Ricorda anche tutti i dettagli di quella telefonata, l’ultima telefonata: «Saremo a casa fra poco», gli avevano detto quando si trovavano all’altezza di Campogalliano, sull’autostrada del Brennero.
Rosanna, Mattia e Andrea stavano tornando nella loro Verona, dopo le vacanze trascorse nel Gargano. Era il 22 luglio 1994 e Marco li stava aspettando a casa. Da quella telefonata, però, passano due ore non riceve notizie. Due ore di ansia, prima che il suo telefono squillasse un’altra volta: è la polizia Stradale. Marco corre all’ospedale, ancora senza sapere quello che il medico gli avrebbe detto da lì a poco: «Sua moglie e i suoi due bambini sono deceduti». Sente queste parole. La Renault Clio su cui stavano viaggiando Rosanna, all’epoca 39enne, e i due figlioletti è stata tamponata in autostrada dalla Lancia Thema di un carpigiano 33enne: sono morti tutti e tre sul colpo.
Adesso Marco, che di cognome fa Montanari, ha 69 anni e fra pochi mesi ne compirà 70: si è risposato, ha un figlio grande e da quel 22 luglio di trent’anni fa è costretto a fare i conti con quanto accaduto sull’A22. Oggi, ha deciso di riaprire la scatola dei ricordi e di raccontare il tragico evento che ha segnato per sempre la sua vita, per un motivo: «Se solo questo mio racconto potessero evitare anche un solo incidente e salvare una vita, io ho fatto il mio dovere e pure voi, pubblicandolo sul giornale», ci dice. «Trent’anni, sono passati trent’anni – esordisce – Mattia e Andrea avrebbero potuti essere entrambi padri. Di quel giorno ricordo tutto perfettamente, non potrebbe essere altrimenti. Ogni sera, quando vado a letto, torno a quel 22 luglio. Ci convivi e non puoi fare altro. Insieme ai pensieri, arrivano, forti, anche i sensi di colpa. Avrei potuto fare questo, avrei potuto fare quell’altro: razionalmente è sbagliato, assurdo, ma allo stesso tempo inevitabile. Quando sei a divertirti e magari anche solo per un attimo, non pensi a loro, ti senti in colpa. Non sapete quante volte ho pensato a quel maledetto viaggio. In quegli anni, l’abitudine era che Rosanna andasse in vacanza in montagna con i bimbi: io li portavo in auto e poi tornavo per andare a lavorare. Se quella volta li avessi accompagnati, sarebbe cambiato qualcosa? Se le avessi dato la mia auto, una Bmw, sicuramente più grossa della sua Clio, l’incidente avrebbe avuto conseguenze diverse? Me lo sono domandato, forse stupidamente, decine di migliaia di volte».
Pensieri, per forza di cose diversi, che, più volte in questi trent’anni, Montanari ha rivolto anche all’automobilista carpigiano che gli ha portato via moglie e figli: «Non ho nulla contro di lui – racconta Montanari – gliel’ho anche detto, era chiaro che non l’avesse fatto apposta. Ma mi aspettavo almeno di ottenere delle banali scuse. Viaggiava a 157 chilometri orari e da parte sua non ho mai ricevuto un pentimento o una parola di vicinanza, ma solo una dichiarazione autografa sul luogo della tragedia in cui incolpava mia moglie di averlo tamponato. Oggi, lui è un uomo incensurato e ha con un figlio adulto che forse lo farà diventare nonno. Io no!».
Un sentimento di rabbia, questo, che all’inizio gli dava «energia» e dalla quale ha trovato la forza per fondare, «insieme ad altri disperati come me», dice scherzando, l’associazione italiana “Familiari e vittime della strada”. «Ero davanti a una scelta – prosegue – chiudermi in casa oppure tornare a combattere. Ho scelto la seconda. Dopo qualche anno mi sono risposato, ho fatto un figlio e ho aperto l’associazione: la rabbia mi dava forza, ma, a un certo punto, questa affievolisce e lascia spazio alla razionalità. Non volevo che la mia seconda moglie e mio figlio subissero tutta la rabbia che portavo dentro di me, così, dopo anni di militanza nell’associazione (ha ricoperto a lungo il ruolo di vicepresidente, ndr) ho lasciato gli incarichi. Ogni volta che sentivo storie simili a quella della mia famiglia era come ricevere una coltellata alla pancia».
Storie di sogni, di sorrisi, di momenti insieme cancellati in un istante: «Eravamo una famiglia come tante – prosegue – avevamo i sogni e i desideri di tanti. Oggi dico che volevamo solo vivere il futuro assieme, vedere i nostri figli crescere. Se ho rimpianti? Sì, oggi è inevitabile. Avrei voluto passare più tempo con loro, ma questo si realizza solo dopo. E indietro non si torna». Montanari ha scelto di andare avanti, con coraggio: «Ho venduto anche la casa di Verona in cui abitavamo – ammette – perfino quei muri, per me, avevano una certa importanza. Non potevo continuare a vivere lì. Mi è capitato di passarci davanti e di provare, ancora oggi, dolore. È come se, dentro di me, si accedesse una lampadina; la stessa che si illumina quando percorro il tratto da Verona a Mantova sull’autostrada del Brennero. Non c’è niente da fare, è più forte di ogni sentimento razionale. Anche se, a dire il vero, oggi ho meno punti di riferimento rispetto al luogo dell’incidente, soprattutto dopo che hanno demolito il cavalcavia che si trovava lì vicino, nei pressi del comune veronese di Nogarole Rocca. Ora ne hanno costruito uno più grande. Meglio così – conclude – sì, meglio così».
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