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L’editoriale del direttore

Elly, Giorgia e una regione meno contendibile

di Cristiano Meoni
Elly, Giorgia e una regione meno contendibile

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L’astensionismo è un fenomeno deprecabile, ma inevitabile e condizionerà sempre più le elezioni come succede già nelle democrazie più avanzate: elezioni che saranno tanto più vinte quanto più si riuscirà a mobilitare/polarizzare l’elettorato. Ecco, Giorgia Meloni ed Elly Schlein sono state brave a polarizzare questa tornata elettorale e l’hanno vinta, una da destra, l’altra da sinistra, attaccandosi e legittimandosi a vicenda. Scelte di campo chiare, intelleggibili. Ricette originali e non fotocopie. E poi, due espressioni di una moderna leadership femminile. Si sono rubacchiate persino le battute. Il «non ci hanno visti arrivare» coniato da Schlein dopo il successo congressuale è stato parodiato dalla premier: «Ci hanno visti arrivare e non hanno fatto niente».

Elly Schlein ha preso un Pd che i sondaggi davano al 15% e l’ha portato al 24%, oltre le aspettative di tutti. Contraria culturalmente alla personalizzazione della politica, ha accettato di personalizzare e di candidarsi per trainare il partito tra i mugugni di compagni e soprattutto compagne a cui, per il meccanismo del voto di genere, avrebbe rubato la preferenza. Ha azzeccato i candidati, pescandoli dall’altra parte, cioè dai riformisti: Antonio Decaro, Stefano Bonaccini, Dario Nardella. Elly Schlein ha rianimato il “cuore rosso” di tanta gente con una proposta fortemente identitaria: buona per vincere in Emilia o in Toscana, forse non abbastanza per conquistare il governo del Paese. Prossima sfida, allargare il consenso fuori dal perimetro delle Feste dell’Unità.

Dopo due anni di governo, solitamente chi governa è punito dagli elettori: è la dura legge delle elezioni di “midterm”, di mezzo termine, e pochi dagli Stati Uniti all’Europa l’hanno scampata. Giorgia Meloni sì. Addirittura il suo partito guadagna tre punti sulle politiche e la sua maggioranza quattro. E’ l’unica leader di governo uscita bene dalle Europee, forse perché era dalla parte dove spirava il vento a favore (destra). Si è rafforzata e il suo peso in Europa è cresciuto, come vedremo dal G7 in Puglia dei prossimi giorni.

Il Salva-Salvini si chiama Roberto Vannacci. La Lega era data tra il 6 e il 7 per cento, ha preso il 9, merito del generale che solleticando gli istinti più retrivi del Paese ha rastrellato 500mila preferenze. Quanti, fra quelli che hanno messo una “decima” (sic) sul suo nome, avrebbero altrimenti votato Lega? Certo, il fatto che Salvini abbia salvato la pelle con il soccorso “nero” di Vannacci certifica in maniera definitiva la fine della Lega Nord. Quel partito, come ha platealmente detto Umberto Bossi votando Forza Italia, non c’è più. Adesso c’è una Lega di estrema destra, nazionalista e nazionale: la regione dove prende più voti non è il Veneto o la Lombardia ma il Molise (17%).

I Cinque Stelle fino a qualche settimana fa puntavano alla leadership del centrosinistra: sono stati più che doppiati da Schlein che ha cannibalizzato temi (in linea di massima, tutto quello che sta intorno alla povertà e al disagio) ed elettori.  Parziale attenuante: alle Europee il grillismo non ha mai funzionato, e poi al Sud - dove è più forte - l’astensionismo ha dilagato. Ma il 10 per cento è il peggior risultato dal 2013 e pure Giuseppe Conte ammette che qualcosa dovrà cambiare. Meglio tornare all’originale che essere una fotocopia?

Boomaccini: perdonate il gioco di parole, ma Stefano Bonaccini ha fatto boom: 389mila preferenze nella Circoscrizione Nord-Est, che tradizionalmente non è quella più favorevole alla sinistra. Frantumato il record 2019 di Carlo Calenda, Bonaccini ha trainato il Pd in Emilia-Romagna: con il 36,1%, otto punti in più delle Politiche 2022, qui i Dem riscuotono il miglior risultato d’Italia. Unica punta d’amarezza, Bonaccini è stato superato da Antonio Decaro già sindaco di Bari e presidente dell’Anci, ma al Sud si è tradizionalmente più portati a dare la preferenza. Ora la mission del Pres è evitare la sindrome “esilio dorato” a Bruxelles. L’altro boom personale, in Emilia, lo ha fatto Alan Fabbri, il sindaco leghista di Ferrara uscente e ricandidato. Con la coalizione di centrodestra inchiodata al 47 per cento alle Europee, Fabbri è stato confermato con il 58 per cento, portando un valore aggiunto personale del’11 per cento: c’è chi lo ha paragonato a un Duca d’Este, ma ruspante. A conferma che le persone contano, eccome.

Una lezione anche per le prossime Regionali anticipate a novembre. Il voto di sabato e domenica disegna una regione più rossa (coalizione Pd-Avs-M5S al 50%, che sale al 56 con i centristi) e meno contendibile per il centrodestra. Che se vorrà scongiurare un esito che sembra già scritto, dovrà tirare fuori dal cilindro un altro Duca come Fabbri: Galeazzo Bignami?

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