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Carolina Paltrinieri, reporter di Finale: «Nelle mie foto ci sono vite, storie e diritti negati»

di Laura Solieri
Carolina Paltrinieri, reporter di Finale: «Nelle mie foto ci sono vite, storie e diritti negati»<br type="_moz" />

Dal 2011 segue progetti umanitari e ora è in partenza per tornare in Etiopia

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FINALE. Il primo viaggio fotografico è stato in Zambia nel 2011. Poi negli anni è stata in Sudan, Ghana, Zimbabwe, Uganda ed Etiopia che ormai per lei è diventata una seconda casa.

«Lì vado dal 2013 ogni anno, più volte all’anno, collaborando con la onlus di Cento “Amici di Adwa” – racconta la giovane fotoreporter di Finale Emilia Carolina Paltrinieri, classe 1989, nuovamente in partenza proprio in questi giorni per Adwa – Mi fermerò 15 giorni, questa volta documenterò il progetto ospedale: farò foto e video in previsione della festa dei 25 anni dell’associazione che sarà il 20 aprile al PalaEventi-Grand Hotel Bologna di Pieve di Cento. Parallelamente, sto portando avanti un nuovo progetto che è quasi concluso che si chiamerà “Dormi & Sogna”. Il Tigray, la regione dove si trova Adwa, ha attraversato due anni di guerra civile. Con l’associazione è stato impossibile andare ad Adwa dal 2020 al 2023. Il paese da allora è totalmente cambiato, devastato da un’estrema povertà».

Carolina ha già alle spalle pubblicazioni importanti su L’Espresso con il lavoro “Prisoner Mothers” (per cui ha ricevuto diversi premi) e su XL Semanal in Spagna con il progetto “Bambini mai ritornati”; è arrivata tra gli otto finalisti della sezione Giovani categoria Cultura al concorso Londinese “Sony World Photography Awards 2012” e ha collaborato con grandi realtà come Emergency per documentare progetti in Sudan e in Italia.

«Lavorare con gli enti del terzo settore mi permette di venire a conoscenza di molte realtà e di poter a volte iniziare progetti personali paralleli – spiega Carolina che collabora annualmente con tre enti del terzo settore seguendo la comunicazione e facendo consulenza sull'attività di raccolta fondi – Questo si concilia con la fotografia, perché attraverso di essa vengo a contatto con la popolazione locale, e partendo da questo si riesce a preparare al meglio la comunicazione per i donatori. In Italia mi occupo anche di fotografia commerciale, cataloghi e siti internet».

In Italia, Carolina ha anche documentato il terremoto che colpì il suo paese, Finale Emilia, nel 2012, e realizzato il progetto fotografico “Bambini mai tornati-veleno”. «Oggi, a tempo perso, vado spesso a fotografare nel sott’argine del Panaro la natura, sono attratta dalle luci che colpiscono le foglie, dal silenzio. Il sott’argine a Finale Emilia custodisce lo zoccolo di un muro di contenimento del fiume quando ancora passava per il centro città. Un luogo che mi affascina: vorrei riuscire, partendo da lì, a raccontare il bello che era e che oggi si fa fatica a cogliere. Sono davvero tanti i momenti toccanti che ho vissuto finora facendo questo lavoro – dice la fotoreporter – I primi anni ad Adwa passavo le giornate in sala operatoria con i chirurghi a fotografare le operazioni: molti non hanno documenti e per ricostruire la storia clinica del paziente è importante avere le fotografie. Un episodio toccante l’ho vissuto in Uganda; stavo facendo un progetto sulla discriminazione verso le disabilità dei bambini, ero stata a fotografare una Witch Doctor nella foresta e avevamo trovato un bambino portato lì da genitori disperati, che per curarlo si erano convinti che la stregoneria potesse essere una soluzione. Il bambino – spiega Carolina – era in condizioni igieniche e fisiche drammatiche e io lo fotografai. Il fixer (la persona del luogo che di solito mi accompagna durante i miei lavori per mediare con la popolazione ed aiutarmi ad inserirmi) aveva poi scoperto dove abitassero i genitori, mi accompagnò da loro e volle che gli mostrassi le foto del figlio. Vedendole, tornarono a riprendere il piccolo e lo portarono nel collegio dei Francescani che si occupano dei bambini con disabilità. Ecco, forse quelle foto hanno salvato una vita. Anche questo devono fare le fotografie per me: denunciare per migliorare».

Con “Prisoner Mothers” per tre anni Carolina ha raccontato la condizione delle donne detenute nel carcere di Adwa con i loro figli: da questo progetto è nato poi un video, una mostra e il libro fotografico “Prisoner Mothers-Diario di un reportage”.

«Mi piacerebbe molto dare vita ad una mostra con il nuovo lavoro “Dormi & Sogna”, anche questo oltre alle fotografie avrà un video e un libro dedicati» conclude Carolina Paltrinieri, a cui auguriamo buon viaggio. l