Sassuolo, «la chiesa moderna ha fallito: in tanti cercano il rito tradizionale»
Parla don Claudio Crescimanno, interdetto dal vescovo
«Vorremmo instaurare un dialogo con la Diocesi. Noi abbiamo solo voluto fornire la possibilità di coltivare la propria fede, come hanno fatto i nostri nonni fino al Concilio Vaticano II, a chi desidera farlo». Don Claudio Crescimanno è uno dei due sacerdoti lefebvriani, insieme a don Andrea Maccabiani, di Casalgrande Alto ai quali la Curia ha vietato di “esercitare qualsiasi attività ministeriale”, anche rispetto ai sacramenti. Una sorta di “scomunica” che molto fa discutere, ma che non ha interrotto lo svolgimento di queste funzioni religiose.
Don Claudio, facciamo un passo indietro: come e quando avete iniziate a celebrare le messe lefebvriane?
«Abbiamo sempre osservato come ci sia crisi, confusione e disorientamento, nella chiesa attuale: il primo che ne ha parlato con chiarezza e stato Paolo VI. Questa situazione confusa vede le chiese, i seminari e i conventi vuoti: quelli che erano il termometro della vitalità del cattolicesimo non sono più luoghi frequentati. Il progressivo adeguamento al mondo non si può non riconoscere che si sia rivelata una ricetta fallimentare. In gran parte della chiesa non si parla più della grazia che trasforma i cuori e le vite, si parla di quello che è compiacente nei confronti del mondo: di immigrazione, di ecologia integrale… Quando si segue il mondo si è in ritardo».
Cosa trovano le persone che vengono da voi?
«Noi ci inseriamo come microscopica comunità dentro un movimento molto più grande di noi. Rispetto alla popolazione è una realtà piccola che abbiamo contribuito a creare affinché le persone trovino quello che cercano. Le persone sono disorientare rispetto al trend istituzionale e cercano la messa con il rito tradizionale. Cercano un luogo dove i figli possano essere educati secondo ciò che la chiesa ha sempre insegnato. Noi abbiamo trovato un posto sulle colline con recinti per i nostri animali. È la gente che ci è venuta a cercare: crediamo che il ritorno alla terra e alla vita semplice concili a un migliore stile di vita. La nostra sede principale è innanzitutto un’azienda agricola che si chiama Sant’Isidoro, dal nome del laico spagnolo, patrono dei contadini. Le persone hanno cercato un luogo di formazione e da questo è nata una comunità».
Come avete reagito alla “scomunica” del vescovo Morandi?
«Non possiamo che rispettare l’autorità ecclesiastica che fa quanto ritiene giusto. Noi speravamo di avere più dialogo già da due anni e mezzo fa quando lo abbiamo chiesto più volte. Proprio perché ci sono tante comunità come la nostra, non è il colpo di testa di qualcuno. Spererei che ci fosse risposta ad alcune domande quali: perché personaggi condannati anche più volte dal tribunale ecclesiastico vengono messi nella condizione di agire lo stesso, mentre con noi c’ è una rigorosa applicazione della legge? Credo che in una chiesa in cui è tollerato e incoraggiato tutto e il contrario di tutto ci sia spazio per una comunità come la nostra. Se quelli che noi facciamo è cattolico e indubbiamente lo è, l’autorità che deve conservare la fede cattolica come può non considerarci tali? Non abbiamo alcun legame con potere, denaro, palazzi, noi abitiamo in tre fabbricati pagando un mutuo. Non so che paura possiamo fare».l
© RIPRODUZIONE RISERVATA