Modena. Cyberbullismo e body shaming, la violenza “corre” sui social
Su 250 ragazzi delle superiori modenesi, 214 dichiarano di essere a conoscenza di comportamenti violenti avvenuti sui social. È questo il dato allarmante ricavato dal Crid (Centro di Ricerca Interdipartimentale su Discriminazioni e vulnerabilità di Unimore) che ha messo in evidenza nel report presentato ieri mattina presso il Dipartimento di Giurisprudenza di Modena dal titolo “Violenza e social network: analisi e percorsi di educazione alla legalità”.
L’Università, in collaborazione con il Comune di Modena, ha condotto una ricerca su un campione importante di scuole superiori di Modena e provincia attraverso la somministrazione di un questionario anonimo che ha messo in evidenza anche il numero di ore giornaliere che i ragazzi passano sui social: una media di quasi 4 ore, per la maggior parte trascorse su Instagram e Tik Tok. Il questionario ha rilevato anche i comportamenti violenti più diffusi e se in qualche caso è stata citata l’istigazione al suicidio (attraverso il “gioco” denominato “blue whale”).
Tra quelli più votati svettano il body shaming, il cyberbbullismo e il revenge porn, meglio definito come pornografia non consensuale. Comportamento in forte aumento, come confermato ieri anche dalla Polizia postale di Modena, che durante i laboratori in occasione della Festa di san Michele arcangelo, patrono della Polizia, presso la Scuola di formazione professionale della Città dei Ragazzi, ha confermato una recrudescenza di fenomeni violenti online negli ultimi anni (a partire dal periodo Covid), che avvengono principalmente dopo adescamento da parte di persone adulte nei confronti di giovani, molto spesso minorenni, attraverso i social, ma anche attraverso giochi online che spesso hanno come finalità lo scambio di foto osé che poi vengono diffuse senza consenso o tramite ricatto.
«Nel complesso - spiega la dottoressa Claudia Severi, dottoranda di ricerca in Human Technologies and Society - i risultati della ricerca segnalano la diffusa sensazione che la violenza online sia un fenomeno di fatto sottovalutato, e che rischia di dilagare proprio perché raramente perseguito, scarsamente monitorato, fiaccamente contrastato. Si avverte l’esigenza di una più fattiva assunzione di responsabilità, che si traduca tanto in più efficienti protocolli di intervento, quanto in un più risoluto contributo alla ridefinizione critica dell’esperienza social. È emblematico - conclude Severi - il fatto che chi compie azioni violente in rete non sia a conoscenza delle conseguenze giuridiche della propria condotta e chi subisce azioni violente in rete non sia a conoscenza degli strumenti previsti a sua tutela. In questa duplice affermazione, condivisa da circa la metà delle persone che hanno partecipato alla ricerca, rinveniamo la natura stessa del fenomeno indagato: la convinzione o sensazione che gli atti di violenza commessi sui social ricevano ridotta o nulla considerazione da parte dell’apparato legislativo-giudiziario è infatti il riflesso dell’idea che tali atti siano essenzialmente diversi rispetto a quelli, apparentemente analoghi, che vengono commessi nel mondo materiale». I risultati della ricerca verranno messi a disposizione sul sito del Comune di Modena e condivisi con le scuole.