L'inchiesta/ Giovani e social a Modena. «Foto di bambine nude finite su internet: genitori dovete vigilare»
Ferrari (Polizia postale) racconta il mondo del web e i pericoli per i minorenni «Episodi anche a 8 anni, ma l’età più a rischio è tra le medie e le prime superiori»
MODENA «Ci sono capitati anche casi di foto di bambine di 8 o 9 anni diffuse su internet».
L’ispettore capo della Polizia postale di Modena, Marco Ferrari, racconta il mondo del web dei nostri ragazzi. Bambini e adolescenti che con un cellulare, un computer o una playstation in mano possono viaggiare nel mondo pur restando chiusi nelle proprie camere, il luogo più sicuro secondo i genitori. Per la maggior parte di quei giovani viaggiatori della rete il percorso è formativo, apre le porte a nuove conoscenze e nuove amicizie. Specie durante il lockdown, periodo in cui la socialità è stata un tabù. Ma non sempre è così, non sempre l’esperienza online è gratificante: vi sono momenti di difficoltà o peggio ci si può ferire e ritrovarsi chiusi nella morsa di trappole che possono rovinarti la vita.
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Ispettore Ferrari, iniziamo con la pedopornografia. Quali sono i luoghi più pericolosi su internet?
«Non esiste un social network sicuro per definizione. Il pedofilo si può annidare ovunque, ma il rischio più diffuso è un altro. Attorno all’età delle medie e dei primi anni delle superiori ragazzi e ragazze si inviano di tutto, in modo spontaneo senza forzature: foto in intimo, video mentre ballano con indumenti succinti o addirittura nudi. Se si è nudi quello diventa materiale pedopornografico e soprattutto non si sa dove possa finire. “L’ho solo inviata a un’amica”, ci sentiamo dire. Oppure ci raccontano che l’amico un po’ più grande ha chiesto qualche immagine. I problemi nascono se poi l’amica la passa a qualcuno oppure se il fidanzatino la mette sul gruppo Instagram o sulla chat di Whatsapp: in poco tempo quegli scatti fanno il giro di decine di persone. Nei casi più gravi può essere usato come revenge porn. Per la pedofilia la situazione è diversa. Non siamo di fronte a un amico che chiede una foto. Il pedofilo ha tra i 18 e i 70 anni e crea un profilo finto, spacciandosi per un adolescente usando la foto di un volto avvenente. Non svela le sue intenzioni in modo diretto, si avvicina con attenzione alla vittima. Chiede informazioni, come ad esempio se in quel momento si è soli, poi passa a frasi di affetto come “ti voglio bene”. Solo dopo questo rito morboso di avvicinamento passa all’azione, andando allo scopo finale e quindi chiedendo foto o peggio un incontro».
Revenge porn, foto di adolescenti che fanno il giro della città, pedofili. Quali sono le età più a rischio?
«Il target più esposto è quello delle scuole medie e i primi anni di superiori. In prevalenza sono bambine tra i 12 e i 13 anni, anche se a Modena abbiamo avuto cassi già dagli 8 e 9 anni».
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Come reagiscono i genitori?
«Spesso quando se ne accorgono urlano e cancellano tutto. Invece per noi è fondamentale recuperare tutte le informazioni possibili e quindi il consiglio è di fare screenshot di ogni singola foto inviata o delle conversazioni. Evitare di portare direttamente il figlio o la figlia da noi perché può essere vissuto come un trauma. Dal canto nostro cerchiamo di tranquillizzare i genitori».
Cosa devono fare le famiglie per difendersi?
«I ragazzi devono capire che la loro privacy è importante, quindi avere un pin sul telefono e non divulgarlo agli amici. Evitare di accedere con i propri account sui dispositivi di altri. I genitori devono sempre conoscere le password dei figli, la libertà vale fino a un certo punto. Se accade qualcosa di grave bisogna avere accesso immediato al cellulare, non sempre i figli sono disposti a collaborare a fatto avvenuto: possono ad esempio essere spaventati. L’altro consiglio è parlare con i ragazzi, capire se c’è qualcosa che non va. Instaurare un dialogo. E infine essere aggiornati sugli strumenti tecnologici: quando facevamo gli incontri nelle scuole la partecipazione dei genitori era scarsa».
A che età un uso autonomo del cellulare?
«Almeno dai 12/13 anni, non prima. E ci deve sempre essere il supporto dell’adulto. La didattica a distanza non ha aiutato: quelli stessi dispositivi con cui si fa lezione, diventano strumenti per navigare e quindi anche i più piccoli hanno accesso a un cellulare».
Bullismo, risse e violenza corrono sui social?
«Sì, specie da quando c’è la pandemia. Gli episodi che prima si verificavano nei bar o nelle discoteche ora si “accendono” sui social, attraverso chat di Whatsapp o gruppi Instagram. Sono episodi rapidi, organizzano l’incontro in poco tempo ed è difficile intercettarli».
Sono le famigerate risse organizzate sui social network e poi riprese con i telefoni.
«L’organizzazione di una rissa tra più persone, magari con l’utilizzo di strumenti atti a offendere implica anche l’istigazione al reato. Rischia anche chi diffonde il video. Riprendere in diretta due o più persone che si picchiano non costituisce un reato, ma se queste immagini vengono trasmesse in diretta su un social network o poi diffuse tramite altri canali allora si viola la legge, poiché in primis si infrange la privacy e si rischia di incappare in reati più gravi. Fermo restando che chiunque sia a conoscenza dell’organizzazione di un evento violento deve informare le forze dell’ordine». —
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