L’invito di Schnapp «I robot non pensateli uguali a noi ma accanto a noi»
Uno dei volti nuovi del festivale 2020 nel suo intervento ha spiegato perchè sarà la collaborazione tra uomo e macchina a prevalere
MODENA «Schnapps come il cicchetto di ieri. Very strong» la butta lì l’uno. «Non proprio – precisa l’altro – a Jeffrey manca la s. Quella in fondo». Postilla necessaria, certo. «Peccato. Credevo che il brindisi fosse incluso. Qualcosa mi sfugge». Sfugge pure a noi, ascoltatori involontari del surreale scambio tra locutore uno e locutore due, entrambi sulla trentina. Bizzarrie di un festival che ospita un po' di tutto. E che proprio per questo si rivela intrigante come non mai. Merito anche delle tante new entry. Rosa in cui milita appunto Jeffrey Scnhapp. Newyorkese, parla un italiano pressoché perfetto.
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Può giusto scappargli un “molteplica” invece di moltiplica, ma la concessione all’errore è tutta qui. Anche perché Schnapp, deus ex machina di metaLab (at) Harvard nonché Ceo di Piaggio Fast Forward, conosce la cronaca del Bel Paese a menadito. È infatti storico insigne tanto del Medioevo quanto del Novecento nostrano. Ciò non toglie che per il pubblico del Festival sia emblema di novità. «Mai visto né sentito – confessa Alberto, personal trainer - Mi ha incuriosito il titolo della sua lezione: Umanoidi. E ancor più il sottotitolo: i robot facciano i robot. Secondo voi, in concreto, che cosa significa?». Rispondiamo con uno sguardo vacuo. Svelare l’arcano spetta infatti al solo Schnapp. Che nel giro di cinque minuti si trasforma nel Torquemada della robotica umanoide. Alias «l’abitudine di concepire il mondo meccanico come lo specchio del mondo umano».
Pollice verso dunque nei confronti dei numerosi androidi che, gemelli perlopiù “cattivi” dell’uomo, sono le stelle fisse dell’immaginario fantascientifico. «I robot con cui arriveremo a condividere la quotidianità non avranno un volto umano. Non pensateli uguali a noi, bensì accanto a noi».
Accanto a noi, per ora, c’è ancora Alberto. Dunque? E lui: «Mi è piaciuto molto il concetto di un futuro basato sulla collaborazione tra uomo e macchina. E non sulla competizione o, ancora peggio, sulla sostituzione. Un tipetto originale questo Schnapps». Ancora? Va proprio di moda la s in coda. Comunque sì, è un tipo originale. Pioniere della ricerca transdisciplinare, in materia di Digital Humanities Jeffrey Schnapp teme ben pochi rivali. Occhialini dal profilo blu, abito altrettanto blu portato senza cravatta, cerchietto al lobo sinistro: è lui il salmone del festival. Colui cioè che nuota controcorrente in nome di una tecnologia liberata dall’antropocentrismo, ossia dall’ossessione della somiglianza. «La conoscenza della macchina è del tutto altra rispetto a quella dell’uomo». L’excursus di Schnapp – excursus che sul filo del congedo il presidente della Camera di Commercio Giuseppe Molinari definirà astupefacente per gli scenari che apre su un futuro ormai alla porta» - parte da lontano. Cioè dalla nascita della parola robot, figlia del termine ceco robota, leggi “lavoro forzato”. Rileggi “robot schiavo dell’essere umano”. Fu il pittore cubista, già scrittore, Josef Capek a sdoganarla in un suo racconto datato 1917. Per poi “cederla” al fratello Karel. Che, drammaturgo, dei robot-servi farà attori protagonisti di R.U.R (Rossum's Universal Robots), opera fortemente distopica portata in scena a Praga nel 1921. Ma ad incantare il pubblico di Piazza Grande, piazza che alle quattro del pomeriggio appare ben nutrita senza essere strapiena, sarà soprattutto il buon vecchio Gakutensoku. Ovvero il primo robot giapponese nato ad Osaka nel 1928 per volontà del biologo Makoto Nishimura. Che però non lo concepisce schiavo, quanto piuttosto alla stregua di espressione dei più alti principi del cielo. «Un placido gigante di tre metri pensato come fratello dell’imperatore appena incoronato – racconta Schnapp mentre mostra le immagini della sua costruzione - Che però, due anni dopo, esce definitivamente di scena». A conti fatti un flop.
«Lo stesso dicasi di qualsivoglia robot frutto di un approccio umanoide focalizzato sulla replica. Un approccio che partorisce robot incapaci di superare la maggior parte dei test. Ad esempio il test della stretta di mano. Un gesto che pare banale ma che invece presuppone una grande complessità sociale e culturale. Inarrivabile per una macchina». Insomma, la salda stretta di mano resterà prerogativa tutta nostra. Covid permettendo. —
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