Festival Filosofia / A margine Il libro testamento del padre di "Gaia"
L’ultima parola dell’ultimo intervento può essere un inizio. Perché la “critica della ragion tecnica” di cui ha parlato Umberto Curi in un’intervista a questo giornale, è uno dei compiti – forse il principale – che la filosofia deve darsi per il futuro.
A meno che non ci dichiariamo già sconfitti a tavolino passando il testimone alle “Macchine”, senza pianti né rimpianti. E si tratta di un’opzione che i “singolaristi” o altri tecno-evangelisti promuovono con una dedizione quasi religiosa. Lo ha fatto anche lo scienziato-inventore James Lovelock, padre del concetto di “Gaia”.
Ecco, è stato Lovelock l’ospite mancante al festival. Il suo secolo di vita non gli avrebbe probabilmente permesso di raggiungere Modena. Ma non gli ha impedito di lasciarci il libro-testamento “Novacene: l’età dell’iperintelligenza”, le cui pagine pregne di escatologia tecnologica hanno intrattenuto un dialogo a distanza con parole perentorie, radicali. Come queste: «Probabilmente alla fine la Gaia organica morirà, ma proprio come non piangiamo per la scomparsa delle specie nostre antenate, allo stesso modo i cyborg non saranno distrutti dal dolore per la scomparsa degli esseri umani». Sì, è stato James Lovelock l’ospite mancante. O meglio, inquietante.
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