«Ghizlan uccisa in un clima esasperato»
Il giudice concede le attenuanti generiche al marito: riconosciuta la sua instabilità durante la separazione che rifiutava
«Khalil Laamane non aveva mai mostrato tendenze delinquenziali. Prima di minacciare di morte la moglie e di ucciderla era invece in preda a grossi turbamenti e alla depressione. L’ha uccisa in un clima di esasperazione per una separazione che lei voleva e lui rifiutava».
Questa è la cornice, che si legge nella sentenza, in cui il 50enne ha assassinato sua moglie Ghizlan El Hadraoui, 37 anni, la mattina del 6 febbraio 2019 in via Puccini, sotto casa loro, nell’auto di lei, poi condotta fino a via Cavazza e data alle fiamme. La spiegazione di questo contesto collegato all’omicidio, così come emerso anche dalle indagini, è l’elemento che ha convinto il giudice a concedergli le attenuanti generiche abbassando così la pena finale. Una scelta che ha pesato su una bilancia inclinata dalla gravità del suo crimine e dalla sua incapacità di ammetterlo. È questo il cuore delle motivazioni della sentenza che hanno portato alla condanna di Laamane a 22 anni di carcere al termine di un processo con rito abbreviato, a fronte della richiesta del pm Katia Marino di ergastolo con isolamento diurno.
Il profilo di Laamane che esce dalle pagine della sentenza è quindi quello di un uomo “normale”, un immigrato di origini marocchine tutto casa e lavoro, che per far fronte alla crisi coniugale da lui rifiutata trova un’unica risposta: quella criminale. Nessuna giustificazione per l’imputato, ma da parte del giudice c’è la volontà di capire come e perché è esplosa tanta violenza contro una donna che era molto amata e rispettata dal vicinato.
Laamane risulta infatti privo di propensione a delinquere: nessuna segnalazione, fedina penale pulita. Ottime referenze dalla polisportiva che frequentava. Lavorava molto per la sua famiglia. E anche dopo il suo crimine, nonostante il silenzio ogni volta che era avvicinato dalla polizia o da un magistrato, ha accennato a una sua responsabilità dopo che è entrato in carcere, anche se non si può parlare di confessione. Verso i figli ha mostrato un chiaro intento risarcitorio con la decisione di devolvere a loro tutti i suoi beni. È anche un uomo depresso, lo stesso che pochi giorni prima del delitto era andato in visita al centro di salute mentale e che assumeva psicofarmaci.
Ecco perché il giudice ha deciso che, ferma restando la sua chiara responsabilità per un delitto gravissimo e premeditato, può godere delle attenuanti generiche.
Il calcolo della pena ha quindi tenuto in considerazione questo fattore portando la pena-base a 28 anni alla quale si sono aggiunti 5 anni per altri reati e infine allo sconto di un terzo come previsto dalla legge per chi sceglie l’abbreviato. Ecco perché la condanna finale risulta di 22 anni.
Laamane è rinchiuso in carcere da quando è stato arrestato dopo il delitto e continua a soffrire di depressione, come ha spiegato il suo difensore Giovanni Gibertini. —