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Ponz de Leon: racconti di gente straordinaria che ci insegna a lottare

di Michele Fuoco
Ponz de Leon: racconti di gente straordinaria che ci insegna a lottare

Nel libro "L'uomo senza una gamba e altre storie vere" incontri che svelano la capacità di affrontare le avversità

27 febbraio 2017
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“L'uomo senza una gamba e altre storie vere” (Artestampa, pp. 218, 16 euro) è il recente libro di racconti di Maurizio Ponz de Leon, primario, dal 2000, di medicina 1 al Policlinico e da pochi mesi primario anche della medicina metabolica a Baggiovara e direttore del dipartimento.

Il professore è autore di tre libri scientifici sui tumori e nel 2001 ha ricevuto a New York, il premio annuale dell'American -Italian Cancer Foundation “Excellence in Medicine”. Suoi anche libri di viaggi e due biografie. In quest'ultima fatica, che sarà presentata il 2 marzo alle 18, al Centro Culturale Alberione, si intrecciano varie esperienze.

Perché avverte la necessità di raccontare il suo vissuto?

«Vorrei che non si perdessero i ricordi non tanto delle storie mie, delle storie di viaggi ma di alcuni personaggi. Nel primo racconto c'è la biografia del nonno materno. È una vita molto particolare a cavallo delle due guerre, con un terremoto in mezzo».

Lei esalta la forza di volontà, di dare senso alla propria esistenza pur nelle difficoltà, come in due racconti.

«Due episodi singolari. Incontrare sulle Dolomiti un sessantenne senza una gamba che si muoveva come un capriolo è un fatto fuori dall'ordinario, come la sua storia: un tedesco salvatosi dall'orrenda carneficina di Stalingrado, nell'ultima guerra mondiale. Ancora più straordinaria la storia dei due ciechi, marito e moglie, con una scena finale addirittura agghiacciante: l'uomo mi chiede uno spiazzo per la macchina fotografica e mi fa indicare il paesaggio, per poi scattare a 360 gradi. È la storia dell'uomo che non smette di lottare contro le avversità, la disabilità».

Mi pare che lei abbia una visione positiva dell'uomo. La sua professione l'ha aiutata a costruire questa sensibilità?

«È possibile perché sono un medico, un tipo particolare di medico, un internista che parla con il paziente, ascolta storie ed è abituato a comprendere e capire quello che c'è dietro. Cerco di incoraggiarli indicando loro un percorso. Ciò affina la sensibilità».

Cosa le hanno insegnato i viaggi in India, Perù, Iran, nelle Filippine?

«Tantissimo. Non potevo immaginare che il problema profughi sarebbe diventato il problema non solo italiano ma della comunità. Ho una visione di assoluta tolleranza e fratellanza verso queste persone. E ciò deriva dai viaggi che ho fatto. Le riporto una frase attribuita a Maometto che dice: “Non dirmi cosa hai letto, dimmi piuttosto quanto hai viaggiato”. Il viaggio per me è una evasione, un'esperienza, un'apertura. Ma evito i viaggi organizzati».

Da che cosa è rimasto particolarmente affascinato?

«Da tante cose: il mondo si è aperto ai miei occhi, con lo splendore della natura, la gentilezza delle persone che ho incontrato. Durante tre settimane in Iran non sono mai riuscito a pagare il tè. Mi veniva sempre offerto. Il senso di ospitalità degli iraniani ricorda quello dell'Odissea, dell'Iliade, quando arrivava Ulisse naufrago veniva accolto».

Lei è autore di libri scientifici. Scrivere racconti rappresenta una libertà letteraria?

«I libri scientifici li ho scritti soprattutto per me, per riflettere su argomenti che affrontavo. Uno è stato tradotto anche in cinese. Il difetto della letteratura scientifica è che invecchia, a distanza di dieci anni non si può più leggere. Il libro di racconti invece ha una vita più lunga, si spera, e non ha nessuna forma di ingessatura. Ciò è stato difficile per me. In questo libro penso di aver fatto passi in avanti, di essermi liberato dalle costrizioni scientifiche. La nascita dei miei nipoti, dal 2008, è stato un altro stimolo per riflettere sulle cose».

A quando un nuovo libro?

«Ho tante idee. Vorrei scrivere altre due biografie, ma non c’è molto materiale: una di Antonio Raimondi, primo esploratore geografo italiano del Perù, dopo aver partecipato alle cinque giornate di Milano; l'altra di Richard Sorge, la spia di Stalin, che lavorava in Giappone».