Modena, il professor Bertoni: «L’italiano? Va difeso dagli strafalcioni»
Il docente universitario Alberto Bertoni tra i firmatari dell’ appello del 600: «Correggiamo tesi con errori madornali»
Il modenese Alessandro Tassoni si rivolterebbe nella tomba vedendo che cinque secoli dopo il suo la sua morte non c’è neanche un docente del nostro ateneo che scende in campo per difendere l’uso dell’italiano scritto. E dire che l’autore della Secchia Rapita era talmente entusiasta del lavoro dell’ Accademia della Crusca da aver affiancato i letterati che lavoravano alla prestigiosa istituzione fiorentina.
Proprio dalla stessa Accademia che custodisce l’ortodossia della grammatica e della sintassi della lingua nazionale («Si dice o non si dice?») è partita una lettera al ministro in cui si denuncia la catastrofe dell’istruzione: «Nelle tesi di laurea - è questa la tesi di 600 docenti universitari di tutta Italia che hanno sottoscritto il documento - ci troviamo a leggere errori tipici degli alunni delle elementari».
Di qui, nella constatazione non rassegnata degli strafalcioni dei futurri “dottori” che fanno fatica a esprimersi in un italiano corretto, è partita una polemica che è arrivata in tutti gli angoli della penisola, anche negli altri ordini di scuola.
A dire la verità un modenese c’è, tra i 600 che hanno sottoscritto l’appello al ministro. Alberto Bertoni, ordinario di Letteratura Italiana Contemporanea all’università di Bologna, è stupito dell’assenza dei suoi colleghi che insegnano a Modena e Reggio ma rifiuta ogni polemica. «Mi hanno sottoposto il documento persone della “Crusca” che conosco, così come stimo l’attività di altissimo livello di quell’Accademia - spiega con pacatezza - Lo spirito con cui ho firmato è lo stesso dei miei colleghi: non ci mettiamo in cattedra, non giudichiamo dalla torre d’avorio dei nostri atenei il lavoro di cui insegna alle elementari, alle medie o alle superiori. Noi partiamo da una constatazione evidente, anche se scomoda.
E cioè che negli studenti che si avviano a conseguire la laurea, non da oggi, mancano pensieri complessi, non ci sono le conoscenze per organizzare i pensieri in forma scritta con correttezza. Dunque dovremmo porci tutti questa domanda: cosa vogliamo che sia la lingua italiana per la comunità nazionale? È giusto, è moralmente importante, dare un mandato etico e linguistico all’istruzione pubblica e allo stesso italiano parlato e scritto? Detto questo abbiamo chiesto al ministro di esprimersi su questi temi, affinchè arrivino, come auspichiamo, indicazioni chiare sull’insegnamento dell’Italiano. Può sembrare strano a sino a oggi queste indicazioni nei programmi ministeriali sono tutt’altro che chiare. Partiamo dalla base, dagli insegnati che vengono catapultati senza formazioni specifiche e con pochi aiuti a insegnare in classi dove ci sono alunni di tante nazionalità. Vogliamo scrivere protocolli chiari per tutti?»
Un’analisi articolata la sua che trova un’eco anche nei furiosi dibattiti che fioriscono sui siti. Ad esempio, quale senso dare e quali autori privilegiare per la nostra narrativa contemporanea: «Tanti arrivano all’università - sospira Bertoni - che non hanno mai letto una pagina di Calvino, di Sciascia. O di Camilleri. Non parliamo poi di Montale o Ungaretti, la poesia del ’900 e marginalizzata».
Leggendo le tesi i docenti come Bertoni si sentono cascare le braccia davanti agli strafalcioni. Il catalogo degli errori diventa un’antologia degli orrori; gli aspiranti dirigenti dell’Italia, lasciano frasi a metà, dimenticano i verbi, mettono gli accenti sbagliati, i congiuntivi diventano ordigni pericolosi che si evitano. Tutto questo in lavori che sono la sintesi di tre anni o cinque di studio universitario, letti e riletti.