Aemilia, fuoco incrociato sul maresciallo modenese che indagò
Raffica di domande degli avvocati difensori degli imputati nel controesame L’udienza è stata sospesa per lasciare fiato all’investigatore D’Agostino
MODENA. Hanno cercato di smontare l’impianto accusatorio della procura antimafia di Bologna passando al setaccio la lunga testimonianza resa nelle ultime udienze da Emilio D’Agostino. Il maresciallo del reparto operativo nucleo investigativo dei carabinieri di Modena è stato protagonista ieri della nuova udienza del processo Aemilia contro il radicamento della ’ndrangheta in Emilia. L’investigatore ha ricostruito a più riprese l'evolversi dei rapporti della consorteria cutrese con la locale emiliana e il vorticoso meccanismo delle false fatturazioni, anche con transazioni internazionali con la Germania, tramite cui come ormai noto la cosca si autofinanziava. Durante l’udienza di ieri il militare ha avuto anche un attimo di defiance, accolto con una sospensione concessa dal collegio giudicante.
Il fuoco incrociato degli avvocati a suon di domande nel controesame, ha fiaccato la tenuta di D’Agostino. «Ma lei conosce bene le dinaniche della ’ndrangheta, che esperienza ha?» è stata la domanda dubitativa, ad esempio, dell’avvocato Marilena Facento, legale di Mario Vulcano. «È dal 2006 che mi occupo di queste tematiche - risponde D’Agostino - e da allora non ho mai smesso. Ci siamo sempre interfacciati con i colleghi del Ros di Catanzaro, che avevano bene in mente quali fossero le dinamiche della locale madre, sicuramente più di noi. E ci siamo sempre coordinati con la Dda e la Dna. E i colleghi di Crotone avevano il doppio ascolto di diverse intercettazioni». L’affermazione che ha fatto più scalpore è quella riferita ai “cristiani”: secondo D’Agostino in alcuni intercettazioni ci si riferisce a imputati “battezzati” dalla ndrangheta (quindi un’aggravante). Ma secondo i difensori “battezati” sarebbe una semplice parola per indicare genericamente delle persone.
Un interrogatorio serrato in cui, a tratti, il carabiniere è apparso in difficoltà. L’udienza di ieri, davanti a due classi seconde del liceo Formigini di Sassuolo, è stata comunque «leggera», rispetto a quella ben più sostanziosa prevista pe venerdì.
Il programma prevede l’interrogatorio dell’unico pentito di mafia del processo Aemilia. Si tratta di Giuseppe Giglio, colui che sarebbe stato utilizzato per una lunga serie di operazioni finanziarie dal clan Grande Aracri. Non sarà però in aula ma in collegamento dal carcere. Un uomo considerato il bancomat della cosca, abilissimo nelle frodi. Un organizzatore dell’attività dell’associazione relativa alle fatturazioni per operazioni inesistenti e alla gestione di numerosi appalti (taluni come consapevole strumento di reimpiego di denaro ricollegabile direttamente al boss Nicola Grande Aracri insieme a Michele Bolognino, Alfonso Diletto e Nicolino Sarcone). Tutti legami sconfessati in parte dagli stessi imputati, ma che viene rilevata nella girandola di società e dalla miriade di fatture che hanno alimentato il sodalizio e offrono un profilo finanziario all’accolita attiva in Emilia. Intanto il comune di Reggio ha salda il conto dei lavori per la costruzione dell'aula prefabbricata di Aemilia del tribunale Reggio, liquidando alla ditta Modulcasa Line di Traversetolo l'ultima tranche del pagamento, pari a 95.000 euro circa dopo un certificato di pagamento per 303.000 euro.
(e.l.t.)