Forti a Festival Filosofia: «Levi ha fatto emergere il dualismo tra vita e morte che si trova dentro di noi»
CARPI. "Se questo è un uomo" è il titolo dell'opera di Primo Levi a cui si è ispirata la lezione magistrale di Simona Forti a Carpi, a pochi chilometri dal campo di smistamento di Fossoli da cui...
CARPI. "Se questo è un uomo" è il titolo dell'opera di Primo Levi a cui si è ispirata la lezione magistrale di Simona Forti a Carpi, a pochi chilometri dal campo di smistamento di Fossoli da cui passò lo scrittore (allora poco più che ventenne) nel suo viaggio verso Auschwitz.
Simona Forti, docente di storia del pensiero politico contemporaneo, ha saputo regalare una lettura filosofica dell'opera evidenziando quanto «Primo Levi sia stato capace di pensare fino in fondo la molteplicità delle dinamiche del conflitto e dell'agonismo». Nato senza un obiettivo specifico "Se questo è un uomo" ha finito per diventare uno dei testi più commentati del secolo scorso, e non di meno emblema della comprensione del non-senso di Auschwitz, come ha più volte evidenziato Simona Forti nel corso della conferenza: «Levi non mira a imporre l'imperativo categorico della memoria è andato oltre ricostruendo una visione antropologica del potere che scandaglia il dualismo vittima-carnefice. Le opposizioni rigide vengono sciolte e fatte fluire nella realtà del potere -ha avvertito- pertanto nel libro ritroviamo una scandalosa lettura della materia di cui un uomo è fatto». Ricordando il ricovero di Levi nel KaBe (infermeria del campo,ndr), Forti ha spiegato come «I pochi suicidi avvenivano quando la lotta per la sopravvivenza si faceva meno dura giacché è più difficile per l'uomo smettere di lottare». Ma allo stesso tempo ricorda la studiosa «Bastava eseguire i compiti e l'agon (gara,ndr) si trasformava in agonia». L'autore dunque è stato capace di cogliere e raccontare il conflitto tra l'imperativo categorico del campo e i rarissimi gesti di pietà e lo ha fatto rivelando lo strettissimo legame tra potere e materia: «La chiarezza espositiva di Levi non è solo una scelta stilistica, senza togliere nulla alla retorica dell'ineffabile, perché quella struttura per sua stessa ammissione, gli deriva dall'essere chimico. Lui non vuole commuovere, né stupire. Nel campo si muove come un naturalista osservando le tappe dell'animo umano. Descrive in modo meccanico il movimento del corpo». «Levi è capace di descrivere il processo di riaggregazione della materia umana attraverso l'incessante lotta agonistica del potere- ha avvertito Simona Forti- nessun testo filosofico è stato capace di esprimerlo meglio. Nel lager continua a vivere la pluralità del potere, in questo modo Levi smentisce la visione manichea del potere, poiché non c'è una sola visione di questo». Nel campo non esistono solo persecutori e vittime, ma anche una zona grigia del potere, che lo scrittore indaga profondamente riuscendo a raffigurare i molti modi con cui era possibile sopravvivere «la prima condizione di possibilità è di essere di qualche utilità» ha ricordato Forti. Quelle sfumature di potere della zona grigia sono traducibili nel potere come strategia, potere come seduzione e potere come forza bruta a cui egli stesso ha attribuito le sembianze dei salvati. «L'agonismo corre il rischio di diventare un'agonia o un antagonismo assoluto- ha concluso- il suo agon prima di tutto, gioca dentro di noi nel dualismo tra vita e morte».
Francesca Testi