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Francesca Rigotti: «Questo festival ha una marcia in più Oggi c’è bisogno di buona filosofia»

di Arianna De Micheli
Francesca Rigotti: «Questo festival ha una marcia in più Oggi c’è bisogno di buona filosofia»

«All’inizio ero perplessa su questo tema, poi mi ha conquistato l’aspetto legato agli atleti»

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È una piccola signora. Che con la forza, il rigore, la carica empatica del proprio pensiero al pari di Atlante, ma certo con minore fatica, potrebbe reggere l'intera volta celeste. Francesca Rigotti è docente di Dottrine politiche all'Università di Lugano. Autrice di numerosi testi - tra i più recenti Venire al mondo e Manifesto del cibo liscio. Per una nuova filosofia in cucina - domani alle 18 la professoressa Rigotti salirà in cattedra a Carpi in Piazza Martiri con la lectio magistralis "Grazia atletica".

Se lo si considera in termini sportivi, dunque alla luce delle recenti Olimpiadi, "agonismo" è un tema che cade a fagiolo. Che cosa ne pensa di questa scelta?

«All'inizio sono rimasta perplessa. Trovavo la tematica aggressiva, bellica, conflittuale. Poi ho preso in considerazione un'angolazione particolare che è diventata l'essenza stessa della mia lezione. E mi sono lasciata coinvolgere».

Qual è il suo punto vista? «Guardare all'agonismo e all'attività dell'atleta dalla prospettiva della grazia. Non tanto all'interno di una dimensione religiosa quanto piuttosto in termini estetici ed economici. Contemplo la "discesa" della grazia, la sua levità e il suo fulgore. Osservo inoltre la figura dell'atleta e le sue prestazioni agonistiche usando Eracle, Ercole se preferite, come paradigma. Lo seguo nelle sue dodici imprese, dodekathlon, sottolineando il rapporto tra esercizio fisico e ascesi morale e filosofica. Non manca il riferimento alla grazia-dono - quindi alla gratuità di alcune prestazioni - da contrapporre alla logica del nudo agonismo, alla lotta per la vittoria. Su questo punto fanno da scorta Aglaia, Eufrosine e Talia, ossia le tre Grazie, figure mitologiche votate allo scambio e al dono. Ed è proprio "grazie" ad Ercole e alle protagoniste femminili, le Grazie appunto, che prenderà forma il concetto di grazia atletica. Concetto poi coniugato con la pluralità di sensi di cui è pregno».

Padre dell'agone olimpico Eracle è emblema di forza "bruta". Eppure non manca di grazia. Ma che cosa si intende per grazia in un contesto agonistico?

«Il giudizio di grazia si basa sulla percezione di unità, interezza e integrità nella performance sportiva. La pittura della grazia è apparente assenza di sforzo in ciò che viene compiuto. È leggerezza e splendore, è dono ma anche scambio, come lo scambio del pallone nella partita di calcio».

Da sempre l'uomo è in competizione con sé stesso e in lotta con i suoi simili. Oggi grazia e agonismo possono ancora essere facce della stessa medaglia? L'agonismo è ancora ascesi morale?

«Penso allo sport - gli atleti, un tempo incorruttibili, paiono più corrotti dei politici - ma anche all'economia, alla politica, alla vita quotidiana…Nel nostro mondo basato sull'economia sembra che ogni cosa esista solo se ha un valore monetario. La vita contemporanea è infatti dominata dall'idea del mondo come mercato dove tutto viene venduto e comprato. E non sempre al giusto prezzo. Eppure c'è chi ancora crede nel valore educativo dello sport. Chi non rinuncia a forme di lealtà, altruismo, spirito di squadra - ossia virtù "sociali" che allontanano da altre attività meno nobili come entrare in una gang o darsi alle droghe e all'alcol - nonché a forme di moralità democratica e di interrelazione politica che alla mera manutenzione del corpo antepongono la formazione intellettuale e le virtù civiche».

La filosofia a "disposizione" di chiunque. E' questo il valore aggiunto del festival? O è solo un modo romantico di raccontarsela?

«So che alcuni criticano aspramente la filosofia sdoganata in piazza. Questo perché pensano che la gente accorra senza cognizione di causa e soltanto per seguire una moda. Sono convinta del contrario. Profondo e trasversale il "bisogno di filosofia" è oggi una reale necessità cui la filosofia declinata nelle piazze viene incontro».

Dopo quasi 20 anni ritiene che la formula del festival - lectio magistralis e dei classici - continui a funzionare?

«Sì. È una formula seria che richiede preparazione da parte dei relatori e pretende l'attenzione del pubblico. Meno efficace, a mio avviso, risulta l'espediente del colloquio a tavolino tra esperti e giornalisti adottato in altri contesti. Per quanto spontaneo un colloquio concede infatti più spazio all'improvvisazione. E talvolta alla chiacchiera. Il festival della filosofia nostrano è senza eguali in Italia».

Crede che abbia le carte in regola per essere competitivo anche a livello internazionale, europeo soprattutto?

«Ma è già competitivo a livello europeo! Per quanto ne so è stato il primo festival di questo genere imitato in Germania dove comunque i numeri sono inferiori a quelli italiani. Forse perché in Italia, al contrario che nella maggior parte degli altri paesi europei, l'insegnamento della filosofia nei licei è obbligatorio. Una buona pratica che, sebbene non possa garantire una preparazione approfondita, si traduce in un'utile "spolverata"».