Morto il capo della Compagnia della Morte
Zocca. Enrico Zannarini era nella Guardia Nazionale, si macchiò di 80 omicidi durante la guerra
ZOCCA. È morto l'ex capitano della Guardia Nazionale Repubblicana, Enrico Zannarini, comandante della famigerata “Compagnia della morte”, resosi responsabili di circa 80 omicidi, fra i quali i venti della rappresaglia dei boschi di Ciano, di cui, il 18 luglio ricorre il 71° anniversario. Sembra sia morto in provincia di Modena.Zanarini nel 1950 venne condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assise Speciale di Lucca ma, in virtù dell'amnistia Togliatti, la pena venne ridotta a 30 anni di reclusione. Non scontò però neppure un giorno di carcere, poiché alla fine della guerra si rese latitante ed un'organizzazione fascista (tipo Odessa) lo nascose sino al 1959, quando l'ennesima amnistia cancellò la sua condanna. Dopo l'uscita del libro “La Repubblica Sociale italiana a Modena”, nel 1994 venne intervistato dalla Gazzetta di Modena. Riguardo al ripensamento, Zannarini rispose: «Io ho solo eseguito degli ordini (…) Ma io quando parlo con le gente, non mi vergogno. Io dico: mi sono preso trent'anni di galera solo perché ho fatto il mio dovere». Zannarini, che si sentiva ingiustamente perseguitato, spontaneamente aggiunse: «Dopo tanti anni continuano ad arrivarmi lettere di minacce. Ne ricevo almeno due o tre all'anno, una sempre nella ricorrenza nella rappresaglia di Ciano. C'è scritto che me la faranno pagare. Vogliono distruggermi psicologicamente. Perché dovrei parlare? A rimetterci sarebbero i miei familiari e le persone che mi aiutarono alla fine della guerra». Ammette quindi che fu aiutato durante la sua latitanza. Nell'aprile del 2006, in seguito alla denuncia con la quale era stato chiesto che la Procura Militare di La Spezia identificasse e perseguisse l'ufficiale tedesco che aveva collaborato con la “Compagnia della morte” nell'eseguire la rappresaglia dei boschi di Ciano, Zannarini per la prima volta venne interrogato dagli inquirenti. Aveva 92 anni, ancora lucidissimo e per nulla pentito, dopo aver ammesso di aver comandato la seconda compagna della G.N.R. di stanza a Castello di Serravalle (Bologna), declinò ogni responsabilità sulla rappresaglia, che sarebbe stata voluta dai tedeschi per l'uccisone di due soldati tedeschi. Ammetteva però di aver collaborato con i tedeschi nel rastrellamento in cui vennero prelevate 40 persone. Per quanto riguarda i due soldati uccisi, Zannarini precisò che «provenivano dal fronte di Cassino e che erano stremati e malridotti». Non espresse alcuna pietà o pentimento per le vittime. In merito alla scelta dei venti impiccati, Zannarini dichiarò: «Furono scelte le persone che davano indizi di sapere qualcosa o che non rispondevano in modo adeguato alle domande dei tedeschi». Zannarini, mostrando la lista dei condannati a morte, disse compiaciuto ai tedeschi: «Abbiamo scelto bene». I prigionieri subirono inaudite violenze fisiche e morali. Dopo la guerra furono trovate terribili testimonianze lasciate dalle vittime sulla banda di Zannarini e sulle SS. Benché incalzato dagli inquirenti, Zannarini non fornì alcun utile elemento per risalire all'identificazione del maggiore tedesco. Stupì però gli inquirenti per la grinta e la determinazione con cui affrontò l'interrogatorio non tradendo mai la minima emozione. È stato sepolto in una tomba segreta.
Rolando Balugani