Bulimia e anoressia Sono quasi tremila i pazienti modenesi
Tre ambulatori multidisciplinari, 170 nuovi malati all’anno Primo passo l’approccio psicologico assieme alla famiglia
La morte dell’animo, della stima che ognuno porta sempre verso sè stesso, arriva prima di quella del corpo. E quando il controllo del peso, l’ossessione e il disgusto del peso, finiscono per diventare divoranti, gli incubi escono dalle mente per diventare materia, come in un film dell’orrore.
È questo il percorso dei “pazienti Dca”, uomini e donne che soffrono di anoressia e bulimia che anno dopo anno si moltiplicano nelle corsie degli ospedali e negli ambulatori.
«Noi cerchiamo di accoglierli e aiutarli il prima possibile, in modo da ridurre le conseguenze patologiche e i costi sociali e sanitari - spiega il dottor Dante Zini, che nell’Ausl è il coordinatore dei gruppi di lavoro sui pazienti modenesi - Nella nostra provincia stimiamo che ci siano oltre 400 casi di anoressia e mille di bulimia; a questi vanno aggiunti altri 1500 casi di forme intermedie. Tra tutti stimiano 250-300 nuovi casi all’anno di cui 150-170 entrano in contatto con le nostre strutture».
Il convegno - seminario di oggi, a cui prenderanno parte trecento sanitari da ogni parte d’Italia, testimonia l’attenzione con cui viene seguito un disturbo psichico diventato una vera e propria malattia sociale. L’esigenza di apparire ogni giorno perfetti, soprattutto in tempi di crisi, spinge molti potenziali malati a mimetizzarsi dietro l’incapacità emotiva di affrontare le difficoltà di ogni giorno, cercando una compensazione nel cibo. Stesso ragionamento ma in senso opposto quello di chi inizia la caduta verticale di peso, precipitando nel pozzo sotto i 40 chili; l’esordio è sempre quello salutista, il punto d’arrivo un metabolismo distrutto, in cui il corpo non assimila più nulla.
I risultati? Anche qui i numeri possono dare un’idea di quanto accade tra le quattro mura domestiche, dove è la famiglia il primo campo di una battaglia quasi sempre persa quando il conflitto esce fuori controllo.
«In effetti - aggiunge Zini - quando i parenti riescono ad avvistare per tempo i primi sintomi di un disordine alimentare e riescono a venire in ambulatorio, la situazione è recuperabile. Intendiamoci, la collaborazione del paziente, il suo convincimento ad agire e soprattutto ad ascoltare, è decisiva. La parte psicologica, i colloqui, sono l’aspetto più importante, e subito dopo viene la collaborazione della famiglia.
A Modena ad esempio l’insieme dei servizi è coordinato. Ci sono tre ambulatori dove operano gli specialisti in stretta collaborazione, ovvero Mirandola, Baggiovara e Sassuolo, coprendo tutto il territorio provinciale. E nell’ospedale modenese vengono trattati i casi più gravi, in cui è necessario il ricovero, magari prolungato, in Medicina Metabolica o a Villa Rosa. Tutti gli specialisti sono in rete, sia per gli interventi più leggeri fatti di colloqui psicologici e cure a domicilio, che per quelli più importanti dove è indispensabile il day hospital piuttosto che il ricovero in ospedale».
Dietologi, internisti, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri lavorano gomito a gomito per riuscire a neutralizzare quelle spinte distruttive che portano a usare il cibo, in eccesso o in astinenza, come un’arma.
La domanda più importante però resta nel limbo: le cure funzionano? Secondo gli specialisti modenesi, come verrà spiegato anche oggi al convegno, nel 70% dei casi si riesce a guarire completamente o con pochi danni, quando l’intervento è tempestivo. Più passa il tempo e più la situazione peggiora: del 30% rimanente i due terzi vanno avanti con ricadute, tra alti e bassi, gli altri restano al confine per anni e anni, sempre sulla soglia del rischio. E questi ultimi sono sempre da tenere sotto controllo.