Gazzetta di Modena

Modena

SERAFINI RACCONTA LA SUA STORIA E MINACCIA PROTESTE

«Chioschi, così il Comune mi ha espropriato del lavoro»

«Chioschi, così il Comune mi ha espropriato del lavoro»

«Il Comune ha tolto a me e ai miei figli la possibilità di poter lavorare, di fatto privandoci del futuro». È un’accusa molto pesante quella che Carlo Serafini, titolare del chiosco Habanero Cafè di...

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«Il Comune ha tolto a me e ai miei figli la possibilità di poter lavorare, di fatto privandoci del futuro». È un’accusa molto pesante quella che Carlo Serafini, titolare del chiosco Habanero Cafè di viale delle Rimembranze 5 muove all’amministrazione comunale. Serafini era uno dei titolari dei chioschi che aveva accettato di partecipare allo sciagurato progetto di riqualificazione bloccato dalla magistratura, lui però non ha fatto in tempo a costruire nulla per una serie di ritardi e problematiche insorte e proprio per questo motivo - nonostante nel frattempo fosse avanzata l’inchiesta della magistratura che ha bloccato i lavori - rischia di perdere per sempre la propria attività in quanto il Comune “motu proprio” lo ha privato dell’autorizzazione e anche del permesso di costruire. Per contro per altri gestori il trattamento è stato diverso. Una cosa della quale non riesce a capacitarsi e per il quale chiede ora pubblicamente spiegazioni. Minacciando anche di intraprendere clamorose azioni di protesta se il Comune non metterà fine a quella che ritiene una palese ingiustizia.

Ma andiamo con ordine. In una dettagliata lettera, inviata oltre che al nostro giornale anche alla Procura, alla Soprintendenza e al Sindaco - Carlo Serafini ripercorre l’intera vicenda. Che lo vede «vittima incolpevole di numerosi errori altrui».

«Ho iniziato la mia attività nel 1987, quando acquistai il chiosco dalla precedente proprietaria, la signora Prampolini. Facendo un rapido calcolo, sono 27 anni che contribuisco ad animare il parco durante la stagione estiva. - spiega - Ad oggi, il chiosco, che ha preso il nome di "Habanero Café", è uno dei cuori pulsanti di Modena, richiamando giovani e non solo. Ora, negli ultimi anni il Comune ha avviato un progetto di ristrutturazione complessiva del Parco delle Mura, ponendo i gestori di fronte a un vero e proprio aut-aut: aderire alle condizioni imposte o chiudere. Per noi, quindi, la scelta è stata obbligata. Tutti abbiamo accettato, sobbarcandoci le spese necessarie per costruire le nuove strutture: progetto, perizia geologica, contributo e fideiussione per il permesso di costruzione, contratti e acconti per l'impresa edile e l'acquisto di materiali e serramenti, ecc». E qui arriviamo al punto saliente della vicenda: «La consegna dell'area su cui edificare il nuovo chiosco era prevista per il 31 dicembre 2013, ma è avvenuta solo diverse settimane dopo, perché (sic!) l'addetto comunale era in ferie. A questo impedimento se ne è poi aggiunto un altro: per l'inizio dei lavori era necessario "delocalizzare" alcune piante minori. Da ultimo è arrivato l'intervento della magistratura, che come è noto ha sequestrato i cantieri congelando l'avanzamento delle operazioni. - spiega - Da quel momento in avanti, l'atteggiamento del Comune si è fatto sempre più rigido e inflessibile. La prima manifestazione di questa linea dura è stato l'abbattimento del numero dei chioschi. Il sottoscritto, in base a criteri di cui non è a conoscenza, è l'unica parte in causa che perderà la propria attività. Per inciso, dubito che il numero dei locali abbia mai costituito un problema per la cittadinanza; se c'è un problema, questo è rappresentato dalla miopia progettuale del Comune, che ha scelto unilateralmente strutture e materiali non idonei e fuori contesto (i famosi casermoni di cemento)».

E prosegue: «Ho detto di non conoscere le ragioni alla base della decadenza della mia autorizzazione e del mio permesso a costruire. In realtà, una motivazione ufficiale esiste ed è, incredibilmente, questa: non aver avviato i lavori entro il 31 dicembre 2013. Ma come avrei potuto farlo se il cantiere, a quella data, non mi era ancora stato consegnato? È evidente che si tratta di un puro pretesto, nella misura in cui anche altri gestori si erano ritrovati a non poter rispettare le tempistiche. In tutto questo, non mi viene nemmeno concesso di continuare a utilizzare il mio "vecchio" chiosco, tuttora operativo, quando si permette ad altri di installarne di nuovi dove prima non ne esistevano.

In conclusione, dopo essere stato costretto a impegnarmi economicamente, mi vedo anche tolta la possibilità di lavorare per far fronte ai debiti contratti. E ad andare perduto non è solo il mio lavoro, ma anche quello dei miei tre figli, che si sono sempre impegnati nella mia - anzi, nella nostra - attività, ora costretta a chiudere. Qui è impossibile distinguere il grave danno familiare da quello sociale. Devo forse accettare che il Comune disponga a suo piacimento di realtà imprenditoriali come la nostra?»