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Lambrusco, il fai da te che costa un euro al litro

di Saverio Cioce
Lambrusco, il fai da te che costa un euro al litro

Il Consorzio di tutela aveva segnalato nel 2012 i “kit wine” venduti in Scandinavia Igp, buco nero della legislazione Ue. Per evitare trucchi 200 mila euro all’anno

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«Lo sapevamo da due anni che stavano commercializzando il lambrusco in polvere come altri vini italiani, sempre partendo da sostanze liofilizzate. Noi abbiamo fatto a suo tempo le dovute segnalazioni perché per noi l’obbiettivo principale è quello di difendere i vini veri, la nostra qualità conquistata con il lavoro nelle campagne e nelle cantine».

È un fiume in piena Ermi Bagni, direttore del Consorzio che tutela i lambruschi modenesi e che da anni è in prima linea per combattere l’agropirateria. Il suo è un osservatorio privilegiato anche perché il consorzio spende 200mila euro all’anno per la tutela legale del marchio.

Dalla poltrona più alta dell’organismo che valorizza e tutela 45 milioni di bottiglie di lambrusco Doc e 140 milioni di lambrusco Igp Emilia, Bagni evita di impugnare la sciabola per decapitare la concorrenza sleale ma non si tira indietro quando si tratta di segnalare i buchi nella legislazione, a cominciare dalla mancata protezione dei prodotti classificati come Igp.

«Il vino fasullo fatto con le polverine nella cucina di casa - spiega - ovviamente non ha nulla a che fare con il vino vero. Punto e basta. Però ci sono paesi, a cominciare da quelli scandinavi, dove la cultura enologica è scarsa se non addirittura assente. Quindi la tentazione di fare qualcosa che al consumatore medio viene offerto come vino italiano è molto forte, soprattutto se il costo finale è di un euro al litro».

Perché stupirsi dunque se gli appassionati delle bevute tra amici in Scandinavia comprino via internet le confezioni fai-da-te?

«I controlli per le contraffazioni le affidiamo a uno studio internazionale specializzato - continua Bagni - anche perché dobbiamo essere sempre pronti a reagire per difendere gli oltre 6 mila viticoltori che vedono nel nostro consorzio una garanzia. Dei 45 milioni di bottiglie più pregiate del nostro consorzio, quelle del Doc, ben 35 vengono da Modena: come potremmo essere meno che attenti su chi ne approfitta per usare parole che sulle etichette richiamano l’Emilia e che non hanno nulla a che fare con noi?».

Incredibile ma vero, il Consorzio deve mobilitarsi per rincorrere le bottiglie di falso lambrusco in giro per il mondo: dalla Spagna alla Francia, dalla Gran Bretagna al Sudamerica. E poi c’è il guaio degli Stati Uniti: «Quattro anni - ricorda Bagni - ci siamo mobilitati per evitare che depositassero negli Usa il marchio “Caffè lambrusco”. Che cosa poi volessero vendere con quella dicitura non lo so; per fortuna i giudici ci hanno dato ragione».

Cosa c’è dunque dentro ai kit, le confezioni sigillate che offrono il vino a un euro al litro? «Allungando con l’85% di acqua l’infuso in polvere spedito per posta a casa il risultato è garantito» assicurano i venditori on line. Mosto concentrato, più aromi e altre sostanze prodotte chimicamente ed ecco che dopo un bagno di un paio di giorni il contenuto di una busta diventa vero vino italiano, come promette la scatola con stemmi tricolori, i nomi delle nostre città più conosciute e tutto ciò che la fantasia italica può produrre.

«Dobbiamo distinguere tra l’imitazione e la contraffazioni, vere e proprie frodi e l’evocazione dei nomi italiani - aggiunge Giuseppe Alai - presidente del Consorzio del Parmigiano - Aggiungere le vocali alla fine di nomi stranieri è il trucco più ricorrente. Oppure si traduce nella lingua locale il nostro nome; per fortuna dal febbraio 2008 la Corte di Giustizia Ue ci ha dato ragione nel nostro ricorso contro il Parmesan prodotto in Germania. Ora nessuno può commercializzare un formaggio simile al nostro con un nome che inizi con le prime quattro lettere che indicano il Parmigiano». Un investimento massiccio quello del consorzio che vede 2 mila controlli all’anno e 11.700 confezioni verificate in tutto il mondo, per una spesa complessiva di 2,2 milioni di euro, a partire dalla produzione sino alla commercializzazione.

Stessi problemi anche per il balsamico tradizionale, come conferma Gianni Tagliavini dell’Acetaia Ponterotto di Soliera. «Ci sono balsamici diversi ma ogni giorno c’è gente che ci chiede le ragioni di costi che vanno dai pochi euro del prodotto da supermercato ai 40 euro in bottiglia da 100 grammi per il tradizionale. La legge consente diverse denominazioni. Per fare il tradizionale vero ci vogliono da 15 a 20 anni, quello più commerciale si fa in una settimana con sonde preriscaldate in botti d’acciaio con il mosto di trebbiano che costa un centesimo rispetto a quello più prezioso. Per forza che poi c’è lo spazio per le contraffazioni».