Gazzetta di Modena

Modena

“La luna su Torino”, tre volti del disagio di oggi

di Alberto Morsiani
“La luna su Torino”, tre volti del disagio di oggi

Nel film di Davide Ferrario il sogno dei protagonisti di un domani umano e sentimentale migliore

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LA LUNA SU TORINO di Davide Ferrario. Italia 2014

Giunto alla regia all'età di trentadue anni, dopo una lunga attività come critico cinematografico, gestore di un cineforum, distributore di film inediti di Wim Wenders, Spike Lee, Jim Jarmusch, Davide Ferrario è una figura che sfugge a facili classificazioni. Nella sua molteplice e multiforme produzione, ai documentari si alternano i lungometraggi, ma anche un romanzo, “Dissolvenza al nero”. La sua attività di regista ha inizio con “La fine della notte” (1989), un road movie girato tra le campagne del Nordest sulla tragica notte brava di due ragazzi di provincia. A pellicole di maggior successo di pubblico e di critica, come “Anime fiammeggianti” (1994), melò ribaltato in commedia grottesca con risvolti surreali, che partecipa al Sundance Film Festival, oltre che a Locarno, “Tutti giù per terra” (1997), dal romanzo di Culicchia, ritratto generazionale non privo di onesta indignazione, “Figli di Annibale” (1998), commedia di viaggio, e “Dopo mezzanotte”, elegante e romantica commedia con venature metalinguistiche, che ha partecipato con successo al festival di Berlino (2004), si affiancano risultati meno fortunati, come “Guardami” (1999), ispirato alla vita della pornostar Moana Pozzi, esplorazione senza falsi pudori del mondo del cinema pornografico, e “Se devo essere sincera” (2004), amabile commedia gialla con risvolti satirici. Tra i documentari, si ricordano “Materiale resistente” (1995), immagini d'epoca della resistenza partigiana accompagnate da una colonna sonora rock e rap, co-firmato da Guido Chiesa, e “La strada di Levi” (2007). Ferrario ama sporcarsi le mani con la vita vera e prosegue il proprio lavoro in una convinta indipendenza produttiva, per potersi muovere in totale autonomia espressiva: il suo cinema è lontanissimo, per stile e ritmo, da certa asfissiante produzione italiana media. C'è un'innegabile eco di “Dopo mezzanotte” in “La luna su Torino”, in cui di nuovo le coordinate geografiche (stavolta non la Mole ma la linea del 45° parallelo, equidistante dal Polo Nord e l'Equatore), il cinema muto e i sogni di un domani sentimentale e umano migliore di tre giovani (un universitario che lavora al bioparco, l'impiegata di un'agenzia di viaggi dalla vita sentimentale travagliata e un quarantenne che non ha lavorato un giorno in vita sua e campa di rendita) sono gli elementi che, mescolati anarchicamente, danno vita a un film che cerca di tradurre nella modernità il cinema in cui la trama è funzionale ai personaggi e non viceversa. Quel che ha di originale la nuova opera di Ferrario è invece la scelta di separare i tre personaggi, coinvolgendoli in storie diverse ma contigue, in cui manifestare tre facce diverse di un'inspiegabile insoddisfazione e una sempre più urgente esigenza di cambiamento.