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Minacciato dalla mafia ora vive sotto scorta

di Giovanni Gualmini
Minacciato dalla mafia ora vive sotto scorta

Giovanni Tizian, giornalista di 29 anni, collaboratore della Gazzetta di Modena, si occupa di criminalità organizzata e delle infiltrazioni al nord delle cosche mafiose. La protezione armata è scattata per le minacce ricevute dopo gli articoli scritti per il nostro giornale. Ecco come è cambiata la sua vita

10 gennaio 2012
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MODENA. Giovanni Tizian fa il giornalista, ha meno di trent'anni e la sua vita è cambiata. Da qualche tempo vive con la scorta, da mattina a sera. Due agenti armati e in borghese lo accompagnano tutto il giorno, ovunque, anche quando deve fare la spesa. Per lui è diventato un problema condurre quella che prima era un’esistenza normale. Lo prelevano alla porta di casa e ce lo riportano. Gli affetti, gli amici, anche una banale visita in libreria sono cose diventate, all'improvviso, difficili da gestire nella sua situazione.

La scorta gli è stata assegnata dagli inquirenti una quindicina di giorni fa. Uno di quei regali di Natale di cui avrebbe fatto volentieri a meno. «Stavo per pranzare - ricorda - quando mi hanno chiamato sul cellulare dicendomi che ero esposto a un rischio e che per tutelarmi, e permettermi di proseguire nel mio lavoro, avrei avuto la protezione delle forze dell'ordine. Sul momento non mi sono reso conto di cosa avrebbe significato. Poi già verso sera ho cominciato a capire». Gli agenti gli devono, per così dire, “coprire le spalle” fino a quando le acque non si saranno calmate. Il motivo è semplice: Tizian parla di mafia, i mafiosi parlano di lui.

Che cosa dice Giovanni Tizian della mafia non è un segreto. I suoi articoli su cosche e clan sono comparsi numerosi sulla Gazzetta di Modena dal 2006, anno in cui ha iniziato l'attività pubblicistica. L’argomento lo conosce bene, la tesi di laurea in Criminologia l’ha scritta sulle ramificazioni internazionali della ’ndrangheta. Oltre che con la Gazzetta, collabora con il sito internet Linkiesta e con Narcomafie, la rivista del gruppo Abele di don Luigi Ciotti.

In dicembre ha pubblicato un libro sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'economia del Nord. Si intitola “Gotica” e sono trecento pagine con nomi e cognomi, citazioni di atti, documenti e testimonianze su come Camorra, Ndrangheta e Cosa nostra abbiano scelto - da anni, non da ieri - il Settentrione per fare affari con i proventi della droga, delle estorsioni, del pizzo, del gioco d'azzardo. Si citano, nel libro, anche fatti di sangue. Ma il filo conduttore nell'inchiesta è un altro: sono i soldi, come vengono investiti, quali settori sono più esposti al riciclaggio, quali metodi e strategie sono adottate per ripulire il denaro sporco. Una realtà le cui dimensioni sono state spesso sottovalutate e che viene descritta con dovizia di particolari.

Cosa dicono i mafiosi di Tizian è facile immaginarlo. Parlare di narcotraffico e di pizzo è parlare, sostanzialmente, di una questione di ordine pubblico. Ricostruire i percorsi carsici del fiume di denaro mafioso vuol dire toccare un nervo scoperto, significa iniziare a demolire la facciata di legalità creata dai boss in anni di lavorio discreto, sottotraccia, con la complicità di insospettabili professionisti come avvocati, commercialisti, notai, consulenti: i cosiddetti “colletti bianchi”. Lì corrono i fili dell'alta tensione criminale e la faccenda si fa seria. In ogni caso, è impossibile sapere, vista la mole di articoli prodotti dal giornalista negli ultimi anni, cosa sia stato in particolare ad esporlo alla minaccia. Di certo, fare giornalismo d'inchiesta in Italia su questi argomenti diventa pericoloso, ancora oggi, come lo era negli anni ’80, al Sud come al Nord. Segno di una fenomeno mafioso che è questione nazionale, che riguarda Modena come Casal di Principe, Milano come Reggio Calabria.

Ora Tizian deve comunicare in anticipo i suoi spostamenti, di fatto deve programmare le giornate per evitare problemi. A lui, agli agenti della scorta, ai suoi cari. È la seconda volta che la mafia sconvolge la sua vita. La prima volta era bambino. Aveva 7 anni quando a Bovalino, nella Locride, venne ucciso suo padre a colpi di lupara. Era funzionario di banca e gli spararono mentre tornava a casa. «Io lo aspettavo, era ormai ora di cena, ma non arrivava. Mia madre mi disse che aveva avuto un incidente, in qualche modo cercava di attutire il colpo... Dopo cinque anni ci siamo trasferiti a Modena, per cercare di ricostruire la tranquillità e la serenità che non avevamo avuto in Calabria».

Al momento, nelle giornate di Tizian non c’è molta serenità. Neppure nelle piccole cose, quelle che scandiscono le ore dei suoi coetanei. «Si creano situazioni strane. Se vado al market, mi accorgo di avere fretta inspiegabile. Non riesco neppure a pensare alle cose che devo comprare... A volte poi ho la sensazione di abusare dei ragazzi della scorta, che sono bravissimi. Però se voglio andare a mangiare una pizza con la fidanzata o gli amici, io devo viaggiare su una macchina, loro su un’altra... In famiglia cercano di starmi vicino e di non farmi pesare questa situazione. Mia madre... Lei è perfettamente consapevole di ciò che mi sta accadendo, anche per quello che ha già passato. Ha una grande forza e cerca di trasmettermi tranquillità. Lo ha sempre fatto».

 

Il mondo di Tizian si è improvvisamente ristretto. Confinato fra casa, auto e pochi posti da frequentare. Nessuna sorpresa, possibilmente nessun imprevisto. «Cerco di trovare il modo di continuare a fare questo mestiere, e sono sicuro che lo troverò. Non ho quella libertà di movimento che mi servirebbe, ma mica ci rinuncio. Non penso che un giornalista possa cambiare il mondo, ma credo nell'utilità sociale del mestiere di giornalista». La scorta non durerà in eterno, una bella mattina arriverà una telefonata con l'annuncio di cessato allarme. Sarà come uscire da un incubo, per Giovanni Tizian. Per adesso ne sente il peso schiacciante, ma continua determinato. ©RIPRODUZIONE RISERVATA