Olio d’oliva, l'Italia è solo seconda: la Spagna domina i mercati
Ma il nostro Paese ha la leadership del consumo: 415mila tonnellate all’anno. La Puglia prima regione per produzione con quasi il 60 per cento del totale
Secondi per produzione, ma primi per consumo globale, anche se terzi per quantità pro-capite. L’oro “verde”, l’olio d’oliva, è uno dei settori simbolo del made in Italy, ma in realtà il nostro paese deve confrontarsi con una concorrenza agguerrita, naturalmente mediterranea, che rende difficile difendere le quote di prodotto nei tradizionali mercati di sbocco.
A dimostrazione del valore dell’industria olearia, arriva adesso uno studio di Mediobanca che analizza in dettaglio caratteristiche, prospettive e soprattutto concorrenti dell’olio di oliva italiano.
I mercati
Il nostro paese è il secondo produttore, preceduto dalla Spagna, ed esportatore (338mila tonnellate nel 2023), oltre che primo consumatore (415mila tonnellate nel 2023-24) e importatore (510mila tonnellate nel 2023). Siamo primi consumatori ma terzi per quota pro-capite. Spagna e Grecia consumano 7,5 chili di olio per anno a testa, noi 7,1.
L’altro elemento significativo riguarda la profonda differenza tra il nostro Paese e il principale concorrente: in Spagna il settore dell’olio d’oliva è una vera “industria” capace di produrre redditi e di fare sistema con la distribuzione e la vendita al dettaglio. Nel nostro paese c’è un elevato tasso di abbandono dei terreni, una mancanza di strategia unitaria, con troppi produttori ancora legati a un’olivicoltura tradizionale non ammodernata.
Il confronto
La Spagna è al primo posto per produzioni, con 766mila tonnellate; l’Italia è a quota 289mila, precedendo Turchia, Tunisia, Grecia, Portogallo e Marocco. La Spagna, adesso, riceve i benefici di una politica ultradecennale. Sul finire degli anni Ottanta, precisa lo studio di Mediobanca, «quel paese è stato teatro di cospicui investimenti nell’olivicoltura prevalentemente finanziati dall’UE. Le risorse furono finalizzate all’avvicendamento degli uliveti esistenti con altri che consentivano raccolte meccanizzate, alla creazione di pochi consorzi di produttori di grandi dimensioni e all’impianto di un numero limitato di frantoi di dimensioni industriali. Gli effetti si resero tangibili a distanza di pochi anni: la Spagna passò dalle 338mila tonnellate del 1995-96 alle 1.077 di appena due anni dopo (oltre 3 volte) e alle 1.411 del 2001-02, favorendo la rinascita economica di regioni depresse come l’Andalusia e l’Estremadura».
Le differenze
Anche se l’Italia regge il confronto sui mercati nordamericani, la tipologia di produttori presente nel nostro paese è lontana da quella presente in Spagna. La produzione olio-olivicola italiana viene realizzata in oltre 4.300 frantoi che operano su 1,1 milione di ettari suddivisi tra 619mila imprese, con dimensione media di 1,8 ettari. Rispetto al 2010, gli oleifici sono diminuiti di oltre il 30% per effetto di un calo che ha interessato principalmente il Centro-Meridione e la Liguria; le altre regioni settentrionali sono tutte in controtendenza con tassi di incremento a due cifre, a eccezione del Veneto. La prima regione per produzione di olio d’oliva è naturalmente la Puglia, con una quota del 59,3% del totale nazionale; seguono la Sicilia con il 12,1 e la Calabria che a loro volta distaccano la Toscana (3,3%), l’Abruzzo (2,9%), il Lazio e la Campania (entrambe col 2,5%).
Quasi la metà dei frantoi nazionali è concentrata in Puglia (17,2%), Calabria (16,6%) e Sicilia (14,2%). La Puglia primeggia anche in termini di produzione unitaria con 147,5 tonnellate per frantoio prodotte nel 2023-24. Seguono la Sicilia (43,7 tonnellate, in linea con la media nazionale di 43,6 tonnellate) e la Basilicata (31,3 tonnellate).
La differenza con il concorrente spagnolo è in questi numeri. Di grandi dimensioni nel contesto nazionale, i frantoi pugliesi spariscono se confrontati con gli spagnoli. Nel paese iberico, con quasi 1.850 frantoi, la produzione media per frantoio è di 460 tonnellate, che salgono a 750 considerando gli ultimi 9 anni. Nel lungo periodo un frantoio spagnolo produce, quindi, circa 17 volte l’olio di uno italiano, e tra le 5 e le 6 volte quello pugliese. Pochi frantoi, a confronto e anche di piccola taglia. Gli impianti molitori con capacità produttiva fino a 200 tonnellate, che costituiscono il 58% della dotazione infrastrutturale del nostro paese – evidenzia lo studio lavorano appena il 10% delle olive molite. Il livello tecnologico degli impianti non pare al passo con i tempi: quelli più moderni non raggiungono la metà (appena il 10% è stato realizzato nell’ultimo quinquennio), circa il 30% risale ai primi anni 2000, mentre il residuo 20% è costituito da quelli definiti tradizionali».
I mercati
Nel 2023 l’Italia ha esportato quasi 325mila tonnellate di olio d’oliva. La metà dell’export si concentra in tre Paesi: Stati Uniti, maggiore mercato di sbocco con il 29,2% del totale, Germania (11,2%) e Spagna (10,6%), dove il deficit produttivo interno ha generato una crescita dell’approvvigionamento di olio italiano dell’86,6% rispetto al 2022. Naturalmente il valore delle esportazioni dipende dal prezzo medio, in questi ultimi anni in continuo aumento. Lo studio registra per il 2023 esportazioni negli Usa per 673 milioni, seguite da Germania, 254, Francia, 148 e la stessa Spagna, 135 e Giappone, 97 milioni di euro. In totale l’export italiano supera i 2,1 miliardi di euro annui, con un valore di circa 6,6 euro al chilo di prodotto.
Se si considera la differenza tra import ed export, si vede come il saldo commerciale sia negativo: esportiamo 324mila tonnellate di olio, ma ne importiamo 438mila. Interessante lo scambio con la Spagna: lì esportiamo 34mila tonnellate di olio, ma ne importiamo 182mila. E non a parità di prezzo. Il nostro “vale” 4 euro al chilo, quello iberico vale 6 euro al chilo.
I prezzi
Tasto dolente. L’impennata del prezzo della bottiglia d’olio al mercato è stata in questi anni sbalorditiva. Se i costi di produzione sono rimasti pressochè invariati da dicembre 2021, da quella data i prezzi sono saliti alle stelle. Nel periodo 2022-2023 le vendite complessive di olio d’oliva nella grande distribuzione sono ammontate a 1,1 miliardi di euro, in crescita del 16,7% rispetto al periodo precedente. La contrazione dei volumi (-9,1%) è stata più che compensata dall’impennata dei prezzi (+28,6%), passati da 4,86 euro per litro a 6,25 euro a litro. E questo è un valore medio, visto che per i evo di qualità si arriva anche a tre volte tanto.
«Il calo dell’offerta globale di olio d’oliva dell’ultimo biennio – conclude il report dell’ufficio studi di Mediobanca, che presenta anche una dettagliata analisi delle aziende del settore nel nostro paese – è legato principalmente alla siccità,e ha condotto ad un’impennata dei prezzi talmente marcata da condurre le quotazioni ai massimi storici». Difficile prevedere una inversione di tendenza: sia per gli anni cosiddetti di “scarica” sia per l’incremento della domanda, è plausibile ritenere che sia il prodotto italiano che quello degli altri paesi mediterranei, anche per le chiusure di alcuni mercati (come Tunisia, Turchia e Marocco) rimanga su prezzi in linea con l’ultimo biennio. L’oro “verde” si conferma così come un prodotto per certi versi di nicchia.